sabato 22 febbraio 2020
La soddisfazione del cardinale Bassetti. «Le mie dimissioni da presidente della Cei? Di salute sto bene. E cercherò di adempiere al compito che mi è stato dato»
Un'immagine dell'incontro di Bari

Un'immagine dell'incontro di Bari - Siciliani

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È solo l’inizio. O, come dice il cardinale Gualtiero Bassetti, «il primo passo». Si conclude domani alla presenza di papa Francesco l’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” che ha radunato a Bari cinquantotto vescovi di venti Paesi affacciati sul grande mare in rappresentanza di tre continenti: Europa, Asia e Africa. «È la prima volta che accade nella storia», dice soddisfatto l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, uscendo dal Castello Svevo che ha fatto da cornice ai lavori. Ma non sarà l’ultima. «Come pastori siamo convinti che sia l’esordio di un cammino che era necessario intraprendere per dare risposte alle attese delle nostre Chiese e ai problemi della società», spiega il presidente della Cei incontrando la stampa. Con un’«arma» in mano, dice il cardinale: il «Vangelo». E Bassetti ci sarà. Perché non sono previste le sue dimissioni da presidente della Cei al termine del G20 ecclesiale in terra pugliese, come in queste settimane voci pilotate avevano ipotizzato. «Concludere il mandato – spiega di fronte ai giornalisti – non dipende da me, ma eventualmente dalla mia salute o dal Papa. Ma io di salute sto bene. E quindi cercherò di adempiere al compito che mi è stato dato».

Il cardinale Gualtiero Bassetti alla conferenza stampa

Il cardinale Gualtiero Bassetti alla conferenza stampa - Siciliani

Stamani le giornate “sinodali” dei pastori delegati si sono chiuse approvando il documento finale che verrà consegnato al Papa nella Basilica di San Nicola. Un testo che è stato deciso di non rendere noto e che raccoglie sensibilità diverse su numerosi temi, come hanno riferito i vescovi: dai migranti al dialogo fra le fedi, dal dramma della guerra allo sfruttamento, dalla trasmissione della fede al sostegno ai poveri. O, ancora, «l’attenzione ai giovani e alla famiglia», la condanna della «produzione delle armi» e soprattutto «la pace, la questione più importante, che va continuamente conquistata», sottolinea Bassetti. I numerosi punti di vista sono confluiti in un “messaggio” condiviso da tutti i vescovi. «La notte ha davvero portato consiglio ed è stata efficace la nostra preghiera – fa sapere il presidente della Cei –. Quindi siamo arrivati a un punto d’appoggio sostanzioso scrivendo una pagina veramente bella». Che viene affidata al Papa.


«La gente si aspetta molto da noi», gli fa eco il cardinale Luis Raphaël Sako, patriarca di Babilonia dei caldei. E chiarisce: «Non siamo politici ma talvolta siamo più importanti delle autorità civili che, una volta elette, non fanno gli interessi del popolo ma quelli personali». Scherza il cardinale Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat in Marocco: «Sapete che qui abbiamo messo insieme una crociata e la jihad…». Si tratta di un gioco di parole prendendo spunto dai nomi di due vescovi che hanno partecipato: Mariano Crociata e Youhanna Jihad Battah, arcivescovo di Damasco dei siri. López Romero racconta della «sofferenza delle Chiese del Medio Oriente» toccata con mano durante il dibattito. Comunità piegate dai conflitti, dalla miseria, dalle persecuzioni, dalla fuga dei fedeli. Ma anche la presa di coscienza del ruolo che oggi hanno le Chiese del Nord Africa: sono «quasi invisibili e piccolissime in una terra musulmana ma possono spronare alla speranza le “vecchie” Chiese dell’Europa», sostiene l’arcivescovo di Rabat.


Anche il fenomeno migratorio è parte dell’agenda. «L’accoglienza non basta – afferma Bassetti riferendosi ai profughi che giungono in Europa –. Servono integrazione e accompagnamento. Occorre creare un clima di famiglia intorno a loro, di amicizia e di affetto. Se nell’accoglienza di chi fugge alla Siria o dall’Iraq si coinvolgessero sempre più le nostre famiglie, sarebbe molto interessante». E, rispondendo a una domanda sui decreti sicurezza, il presidente della Cei avverte che «vanno rivisti insieme ad altre cose. Cambiare è segno di una mentalità dinamica che affronta le situazioni per ciò che sono». La prospettiva di Sako è quella di chi vede l’Iraq svuotarsi. «Per l’Occidente il migrante è un peso, per noi una perdita», afferma. E spiega che all’origine dell’esodo c’è la guerra. «Una guerra che si combatte per meri interessi economici e non certo per i diritti umani», denuncia.

La conferenza stampa conclusiva dell'Incontro Cei sul Mediterraneo

La conferenza stampa conclusiva dell'Incontro Cei sul Mediterraneo - Sicialiani

Altra questione entrata nel dibattito è il dialogo con il mondo musulmano. López Romero descrive l’islam «moderato» del Marocco e parla del Documento di Abu Dhabi come di «una bomba che farà sentire i suoi effetti fra dieci o quindici anni» invitando a estenderlo anche agli sciiti e a inglobare nella sfida della “fratellanza umana” persino ebrei o buddisti. Poi chiede di passare dalla «tolleranza» all’«amicizia con i fratelli musulmani». La «convivenza è possibile», ripete Sako. E precisa che «non tutto l’islam è Daesh» anche se ha necessità di «una nuova lettura della propria fede che si concili con società plurali».


Allora si torna al bisogno di dare un seguito all’Incontro ispirato a Bassetti dal sindaco “santo” di Firenze, Giorgio La Pira, che sembrava un «sogno fino a poco tempo fa», sostiene il direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, Vincenzo Corrado. Tra le proposte del cardinale quella di costituire un forum in ogni Conferenza episcopale nazionale «per affrontare i temi emergenti». O, secondo il patriarca, di creare un comitato che possa seguire l’attività dei vescovi delle Chiese del Mediterraneo. «Non sono stati programmati altri momenti per adesso – annuncia il presidente della Cei –. Ma abbiamo ipotizzato gemellaggi fra le diocesi delle diverse sponde o scambi di giovani e studenti».


In quest’ottica va l’opera che la Cei lascia in eredità come segno dell’evento di Bari: un percorso di formazione per dodici ragazzi scelti fra Balcani, penisola turca, Medio Oriente e Nord Africa che, grazia al coordinamento della Caritas italiana, trascorreranno nove mesi nello studentato internazionale di Rondine-Cittadella della pace, il laboratorio della riconciliazione alle porte di Arezzo che da venti anni fa vivere fianco a fianco i giovani con il loro “nemico”. «Accettiamo la sfida di dimostrare che lo spirito di fraternità è più forte degli odi e delle divisioni», afferma il presidente Franco Vaccari. E il direttore della Caritas italiana, monsignor Francesco Soddu, rivela che lo scopo è di «preparare le future classi dirigenti che saranno a fianco delle Chiese del Mediterraneo». Poi spiega: «Non si tratta di semplici borse di studio ma di un vero itinerario che coinvolgerà giovani rappresentativi di gruppi sociali antitetici e pertanto più bisognosi di incontro». Il progetto durerà due anni e partirà a marzo. Dopo il periodo trascorso a Rondine (da settembre 2020 a giugno 2021) durante il quale i giovani studieranno all’Università di Siena, è previsto il loro ritorno nei Paesi di provenienza dove verranno seguiti in un percorso di ricaduta e faranno parte di una rete. Coinvolta anche l’Università Cattolica di Milano che, attraverso il Centro di ateneo studi e ricerche sulla famiglia, proporrà una valutazione scientifica del metodo Rondine. Così «cominciamo un percorso», dice Soddu. Come avviene con l’Incontro di Bari che è stato quasi un miracolo. Quello che farà proclamare beato La Pira? Chissà.

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