Il cardinale Bagnasco durante l’annuncio della nomina del suo successore - Ansa
In una sorta di bilancio a caldo della sua attività pastorale, fatto ieri in contemporanea all’annuncio del suo successore, il cardinale Angelo Bagnasco ha detto che tra i momenti più significativi dei suoi anni a Genova ci sono state le due visite di Benedetto XVI e Francesco. In effetti quei momenti (e soprattutto l’abbraccio a papa Bergoglio del 27 maggio 2017) possono essere assunti come cifra interpretativa delle priorità pastorali del porporato genovese, non solo in rapporto alla sua Chiesa particolare, ma nei dieci anni alla guida della Cei (2007-2017) e anche come presidente dei vescovi europei (incarico che conserverà fino all’ottobre 2021), per non parlare delle esperienze vescovili precedenti, dapprima a Pesaro (dal 1998 al 2003) e poi all’ordinariato militare (dal 2003 al 2006).
Si prenda ad esempio il programma della visita di Francesco: incontro con il mondo del lavoro, poi con il clero, il pranzo con i poveri e rifugiati al Santuario della Guardia; infine la visita all’ospedale pediatrico Gaslini e la Messa con il popolo. Si faccia poi il confronto con le tante prolusioni da presidente della Cei e si ritroveranno le stesse tematiche che quelle tappe papali sottintendevano. In pratica: comunione e obbedienza verso il successore di Pietro, costante attenzione al mondo del lavoro e alle problematiche sociali, rapporto profondo con i sacerdoti, più volte ringraziati per la loro opera, attenzione ai poveri in favore dei quali Bagnasco ha costantemente levato la sua voce (aumentando anche i fondi 8xmille per la carità), predilezione per la famiglia sempre indicata come cellula fondamentale della società, considerazione per la scienza e la ricerca (specie quella medica rispettosa dell’umano, con tutte le sue implicazioni bioetiche), compassione con il mondo della sofferenza (a partire da quella infantile) e naturalmente una feconda interazione con la fede del popolo, così cara al suo cuore di pastore, formatosi anche nei caruggi della vecchia Genova, di cui apprezza anche la cucina a cominciare dalla caratteristica farinata.
A questo si deve aggiungere l’amore per l’Italia e l’Europa, quest’ultima sempre richiamata (soprattutto da presidente del Ccee) alla sua vocazione di armonica casa dei popoli e non solo di regolatrice di interessi economici. Ma il tutto affonda le radici nel rapporto speciale con la sua città – anche in momenti tragici come il crollo del ponte Morandi, delle cui vittime celebrò i funerali – testimoniato dalla profonda devozione Già presidente della Cei, resterà fino al 2021 presidente dei vescovi del continente per la Madonna della Guardia. Bagnasco ha saputo incarnare, al di là dell’apparenza distaccata, il modello del pastore capace di entrare in dialogo con ogni interlocutore perché naturalmente predisposto all’ascolto. Anche con i media ha sempre avuto, in decine di conferenze stampa, un rapporto franco e cordiale, che però non rifuggiva mai dalla disponibilità a fornire le ragioni di quell’antropologia cristianamente ispirata, di cui si è fatto convinto assertore in tutti i dibattiti pubblici.
Nato a Pontevico (Brescia) il 14 gennaio 1943 (la sua famiglia era sfollata da Genova a causa delle guerra), il futuro porporato ha però trascorso nella sua città le tappe principali della sua formazione umana, culturale e sacerdotale. Ordinato sacerdote dal cardinale Giuseppe Siri il 29 giugno 1966, nel 1979 si è laureato in filosofia all’Università di Genova. In diocesi ha ricoperto diversi incarichi (tra i quali quello di direttore dell’Ufficio catechistico) e nel 1998 Giovanni Paolo II lo ha nominato vescovo di Pesaro. La porpora arriverà nel novembre 2007 per mano di Benedetto XVI, che qualche mese prima lo aveva chiamato a succedere al cardinale Camillo Ruini alla presidenza della Cei e il 29 agosto 2006 al cardinale Tarcisio Bertone sulla cattedra di Genova. Da oggi si apre per lui quella che ieri egli stesso ha definito «l’ultima rampa della vita», forse mutuando l’immagine proprio dalla particolare conformazione orografica della sua terra. «Quando uno non cerca mai niente è libero – ha aggiunto –. Il che non significa essere insensibili, ma avere il dono della serenità». Quasi un autoritratto spirituale dal quale emerge la personalità umana e sacerdotale di un pastore che ha segnato con la sua azione una pagina importante della storia ecclesiale italiana. E non solo.