Il cardinale Angelo Bagnasco (Ansaweb) - ANSA
Da Bangui a Genova il passo, in fondo, è breve. Le Porte Sante di entrambe le città verranno infatti chiuse oggi dai rispettivi pastori, i cardinali Nzapalainga e Bagnasco, così come accadrà in tutte le cattedrali del mondo. Questa domenica, che precede la solennità di Cristo Re, rende la Chiesa universale raccolta come una famiglia attorno alla stessa mensa. E la capitale lacera e ferita del Centrafrica - dove il Giubileo della Misericordia iniziò un anno fa per la scelta sorprendente e coraggiosa di Papa Francesco - siede fianco a fianco con la città nella quale il presidente dell’episcopato italiano alle 15.30 sigillerà i battenti del duomo. Con il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cerchiamo di capire cosa non debba andare disperso di questi mesi e, soprattutto, come metterlo a frutto nella nostra vita.
Eminenza, cos’abbiamo imparato in questo Giubileo?
Il Giubileo non è una storia che si chiude e si archivia, ma l’inizio di un nuovo viaggio. Al di là dell’indubbio successo di un’iniziativa che ha portato a Roma oltre 20 milioni di pellegrini e che sul territorio ha visto una capillare mobilitazione della Chiesa a ogni livello, un bilancio più interiore di questo Anno andrà tracciato senza fretta, pregando e riflettendo. L’esperienza che abbiamo vissuto è stata intensa, un viaggio dentro la misericordia divina, dono e invito a rigenerare nella sua luce le nostre relazioni personali e gli stessi legami sociali. Trovo in questo primo frutto il segno inconfondibile della grandezza e della luminosità dell’intuizione del Santo Padre.
Cos’ha voluto dirci il Papa con il Giubileo?
Il Santo Padre l’ha voluto sulla scorta della profonda persuasione che solo alla scuola della misericordia - comandamento e cuore stesso di Dio - il nostro mondo può ritrovare la speranza e percorrere la via della pace. Senza misericordia ci si affida a una giustizia solo formale che non rende ragione dei bisogni più profondi dell’uomo e, tutt’al più, dà a ciascuno il suo senza tenere conto della sete di comprensione, amicizia e perdono che c’è nel cuore di ogni persona. Il Giubileo della misericordia ci ha davvero insegnato a guardare le persone e le cose comprendendole più a fondo. E ci è risultato chiaro che questo ci avvicina alla verità molto più dell’indifferenza o del rancore.
La formula del "Giubileo diffuso", con Porte Sante in cattedrali, santuari e parrocchie ma anche in mense per i poveri, hospice e nelle carceri, si è rivelata fruttuosa?
Innanzitutto, ci ha ricordato che il centro sta dove abita Dio e che Egli dimora anzitutto negli ultimi. Anche in questo il Papa ha mostrato tutta la sua sapienza pastorale, rendendo evidente che - come dice Gesù alla Samaritana - Dio non lo si adora in un posto più che in un altro, poiché egli cerca adoratori in spirito e verità. E per ricevere misericordia si deve servirlo nel luogo in cui ci ha posti e amarlo nelle persone che abbiamo a fianco. Questa consapevolezza, impressa nel cuore stesso dell’Anno Santo, ci aiuta a mantenere viva una fonte permanente di conversione, di rinnovamento e di crescita, che si rivelerà efficace in ogni attività ecclesiale, nella stessa missione evangelizzatrice della Chiesa e anche nella nostra vita di credenti chiamati da Dio alla santità.
Alla luce dell’esperienza realizzata sin qui, a cosa è servito dunque un Anno Santo dedicato alla misericordia?
Le parole della fede - redenzione, peccato, grazia, croce, misericordia, perdono, cielo ... - sono parole antiche, che hanno attraversato i secoli illuminando generazioni, ispirando i santi e sostenendo i martiri. Queste parole sono giunte fino a noi e ci chiedono di custodirle come care, di non barattarle con niente, di non tradirle. Ecco: il Giubileo ci ha fatto riscoprire la bellezza concreta e affascinante di queste parole che oggi rischiano di svuotarsi nella nebbia liquida del pensiero: l’ Anno giubilare ci ha spinti a chiederci se Dio c’entra ancora con la nostra vita oppure, insensibilmente, è diventando come un sopramobile che arreda la quotidianità. È arrivato il momento di dare una risposta.
La conclusione nelle diocesi del Giubileo, in attesa della sua chiusura domenica prossima con il Papa in San Pietro, cade nell’anniversario esatto del giorno in cui terminò il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze. Cosa resta di quell’evento?Quella di Firenze è stata una bella pagina di Chiesa - preparata a lungo e con un’ampia partecipazione, quasi un anticipo della fraternità vissuta nell’esperienza giubilare - attraverso la quale abbiamo toccato la ricchezza e la bellezza della comunione. La sinodalità sperimentata dai partecipanti al convegno ne rappresenta l’esito forse più prezioso. Ed è la via che molte diocesi e comunità locali stanno percorrendo, valorizzandone la bellezza e l’utilità. Abbiamo capito che tutti siamo posti sotto l’obbedienza di Cristo e al tempo stesso siamo spinti all’ascolto vicendevole, al discernimento comunitario e all’azione comune.
Ma cos’ha insegnato Firenze ai cattolici italiani?
Credo che, a conti fatti, abbiamo imparato che le cose, la vita, il mondo, gli altri vanno guardati con gli occhi di Dio che è misericordia, cioè verità e amore, e con la fiducia che tutto può essere corretto e migliorato, che tutto può rinascere. Ma c’è un messaggio forse più profondo che ci arriva da Firenze e dal Giubileo.
Quale?
L’Anno Santo e il Convegno ecclesiale, ciascuno con la propria peculiarità, ci hanno incoraggiati a chiederci come aiutare l’uomo di oggi a ritrovare il suo volto, troppo spesso deturpato. Nelle nostre comunità constatiamo che, sotto le apparenze, brulica la vita silenziosa e umile fatta di famiglia, lavoro, di onestà senza prezzo, di amore fino al sacrificio, di eroismi che non fanno notizia. Questa umanità vera e concreta incontra la misericordia divina che la risana, la abbraccia e ne guida i passi sulle strade del mondo, quelle già note e le nuove che ci attendono.
E qual è oggi la sfida che attende i credenti che simbolicamente escono dalla porta giubilare verso il mondo?
Sulla fragilità estrema, talora drammatica e angosciante, cui questo clima culturale predominante consegna le persone, il messaggio giubilare della misericordia ci consegna grandi scoperte interiori e umane: un patrimonio forse invisibile, ma che sono certo non tarderà a mostrare i suoi primi effetti di umanizzazione della società e di rilancio missionario nell’azione della Chiesa. Annunciano già questa primavera promessa le tante opere di misericordia fattiva che restano un po’ dovunque nelle nostre diocesi come eredità permanente del Giubileo. Per questo dico che l’Anno Santo finisce, ma in realtà il suo messaggio continua a chiamarci.