venerdì 3 aprile 2009
Ieri l’incontro con i ragazzi verso la Gmg è coinciso con l’anniversario della morte di Wojtyla. Ratzinger: «Perché la sua eredità non vada persa non basta 'avere' speranza, dobbiamo 'essere' speranza»
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Sono riuniti di nuovo come quattro an­ni fa. Allora in piazza San Pietro, con lo sguardo rivolto verso quella finestra dove si consumavano le ultime ore terrene di Giovanni Paolo II. Adesso all’interno del­la Basilica, dove Benedetto XVI, che da pa­pa Wojtyla (come egli stesso sottolinea) ha ricevuto «in eredità la fiaccola della fede e della speranza», li ha radunati per la Messa solenne con cui, insieme, il Pontefice e i gio­vani ricordano il quarto anniversario della morte del Papa avviato già verso l’onore de­gli altari. Ma in fondo l’atmosfera di pre­ghiera e di raccoglimento è la stessa. E la pre­senza di Giovanni Paolo II, anche se i sensi non possono sperimentarla, si avverte ec­come. È palese nelle parole dell’omelia (che Avve­nire pubblica integralmente) e nell’affetto con cui il suo successore sulla Cattedra di Pietro ne parla ai giovani. «Sin da giovane – sottolinea, infatti, papa Ratzinger – si mo­strò intrepido e ardito difensore di Cristo» e «non accettò di scendere a compromessi quando si trattava di difendere la sua verità». Si avverte anche grazie alla presenza del car­dinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cra­covia, e in precedenza segretario personale di Karol Wojtyla. Ma si percepisce ancora più chiaramente nella grande partecipazione dei giovani e nell’entusiasmo con cui alla fi­ne della Messa si stringono intorno al successore di Pietro. Sono arrivati dalla Polo­nia, da Sydney (sede dell’ultima Gmg) e da Madrid (che ospiterà la prossima nel 2011). Ma soprattutto ci sono i giovani romani. Gio­vanni Paolo II era solito incontrarli proprio il giovedì prima della Domenica delle Palme, in vista della Giornata mondiale della gio­ventù che si celebra su base diocesana. E og­gi, per una felice coincidenza, questo gio­vedì segna anche l’anniversario della mor­te di papa Wojtyla. Così la Messa in San Pietro assume una du­plice valenza. Fare memoria del grande Pon­tefice e raccoglierne l’eredità. Benedetto X­VI parla di una vera e propria «generazio­ne », formatasi alla scuola di ben 23 Gmg e che nell’ora della morte «volle manifestargli di aver compreso i suoi ammaestramenti». «Anch’io – aggiunge il Papa – ho voluto ri­prendere questa sua ansia, soffermandomi in diverse occasioni a parlare dell’urgenza educativa che concerne oggi le famiglie, la Chiesa, la società e specialmente le nuove ge­nerazioni». Ma soprattutto a Benedetto XVI sta a cuore che l’eredità del Papa non vada dispersa. Perciò non basta avere speranza, sottolinea il Pontefice, ma occorre essere spe­ranza. «Fate attenzione – raccomanda infatti ai suoi giovani amici – in momenti come questo, dato il contesto culturale e sociale nel qua­le viviamo, potrebbe essere più forte il ri­schio di ridurre la speranza cristiana a ideo­logia, a slogan di gruppo, a rivestimento e­steriore. Nulla di più contrario al messaggio di Gesù! Egli non vuole che i suoi discepoli “recitino” una parte, magari quella della spe­ranza. Egli vuole che essi “siano” speranza, e possono esserlo soltanto se restano uniti a Lui! Vuole che ognuno di voi, cari giovani amici, sia una piccola sorgente di speranza per il suo prossimo, e che tutti insieme di­ventiate un’oasi di speranza per la società all’interno della quale siete inseriti». È questa «la fiaccola che Giovanni Paolo II ci ha lasciato in eredità», conclude Benedetto XVI. E poi rivolgendosi in particolare ai gio­vani di Roma: «Continuate ad essere senti­nelle del mattino, vigili e gioiosi in quest’al­ba del terzo millennio». Infine il Papa si re­ca nelle grotte vaticane per un momento di preghiera sulla tomba del suo predecesso­re, che «dal Cielo – aveva detto poco prima – non cessa di accompagnarci e di interce­dere per noi».
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