L'apertura dell'anno giudiziario in Vaticano - Osservatore romano
Il coraggio per i giudici di arrivare accertare la verità, anche in scandali complessi e gravi, il coraggio di fare giustizia come «atto di carità». Ma anche il coraggio di un genitore che ha perso un figlio di non farsi sopraffare da quel dolore drammatico, magari affidandosi a chi giustifica la sofferenza, «addirittura ricorrendo a teorie religiose». Papa Francesco, nella sua mattinata di incontri pubblici, prima con l’associazione Talita Kum e poi all’apertura dell’anno giudiziario in Vaticano, affida a monsignor Filippo Ciampanelli la lettura dei discorsi per non affaticare la gola, limitandosi ad alcune parole di saluto dalla voce particolarmente rugosa. Nell'aula delle Benedizioni si è rivolto, interrotto spesso da colpi di tosse, ai presenti con queste parole: «Ringrazio tutti voi, io ho preparato un discorso ma sentite la mia incapacità di leggerlo per la bronchite».
L’inaugurazione dell’Anno giudiziario in Vaticano
Occorre coraggio «per andare fino in fondo nell'accertamento rigoroso della verità, ricordando che fare giustizia è sempre un atto di carità, un'occasione di correzione fraterna che intende aiutare l'altro a riconoscere il suo errore – dice papa Francesco nell’aula delle Benedizioni - Questo vale in special modo quando emergono e devono essere sanzionati comportamenti che sono particolarmente gravi e scandalosi, tanto più quando avvengono nell'ambito della comunità cristiana». Bisogna avere coraggio, continua, mentre si è impegnati «per assicurare il giusto svolgimento dei processi», anche perchè «il coraggio disorienta i corrotti».
Anche se si è sottoposti a critiche – è uno dei passaggi del discorso pronunciato da monsignor Ciampanelli – «la robustezza delle istituzioni e la fermezza nell'amministrazione della giustizia sono dimostrate dalla serenità di giudizio, dall'indipendenza e dall'imparzialità di quanti sono chiamati, nelle varie tappe del processo, a giudicare». La miglior risposta a quelle critiche sono perciò «il silenzio operoso e la serietà dell'impegno nel lavoro, che consentono ai nostri tribunali di amministrare la giustizia con autorevolezza e imparzialità, garantendo il giusto processo, nel rispetto delle peculiarità dell'ordinamento vaticano».
«Dichiaro aperto l'anno giudiziario per il 2024». Con questa semplice formula, pronunciata davanti a papa Francesco nell'aula delle Benedizioni, il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha inaugurato il nuovo anno giudiziario in Vaticano.
Papa Francesco con Giuseppe Pignatone - Osservatore romano
Il saluto del promotore di giustizia Diddi
Al promotore di giustizia Alessandro Diddi, invece, è spettato l’indirizzo di saluto all’interno del quale ha voluto sottolineare «la credibilità» che la giurisdizione vaticana «ormai da anni» ha saputo conquistare nell'ordinamento internazionale «nonostante la sua non appartenenza all'Unione europea, l'anno appena trascorso - ha aggiunto - è stato caratterizzato dallo svolgimento di processi importanti, sia nel settore civile, sia nel settore penale». Primo fra tutti il processo sul caso del palazzo di Londra che ha visto coinvolto il cardinale Angelo Becciu e che è giunto a sentenza di primo grado lo scorso 16 dicembre.
«L'anno appena trascorso è stato caratterizzato dallo svolgimento di processi importanti – ha ricordato Diddi - «seguiti con grande attenzione dagli organi di stampa anche stranieri, e che, grazie allo sforzo e all'impegno dei giudici del Tribunale e delle Corti, oltre che del personale amministrativo, si sono potuti concludere in tempi davvero contenuti e senza che mai, in omaggio all'efficienza, vi sia mai stato alcun cedimento per le garanzie del giusto processo». Diddi ha inoltre annunciato che grazie alla gestione telematica dei fascicoli si arriverà ad una gestione ecologica del processo.
L'udienza all'associazione Talita Kum - Osservatore romano
L’udienza all’associazione Talita Kum
Il Papa, poco prima di inaugurare l’anno giudiziario, pur in non perfette condizioni di salute, ha voluto comunque presenziare all’appuntamento con i membri dell’associazione Talita Kum di cui fanno parte i genitori che hanno perso un figlio. Anche in questo caso il discorso preparato è stato letto dal collaboratore monsignor Ciampanelli. «La perdita di un figlio è un'esperienza che non accetta descrizioni teoriche e rigetta la banalità di parole religiose o sentimentali – ha ricordato papa Francesco - di sterili incoraggiamenti o frasi di circostanza, che, mentre vorrebbero consolare finiscono per ferire ancora di più chi, come voi, ogni giorno affronta una dura battaglia interiore». Non dobbiamo scivolare nell'atteggiamento degli amici di Giobbe, secondo il pontefice, «i quali offrono uno spettacolo penoso e insensato, tentando di giustificare la sofferenza, addirittura ricorrendo a teorie religiose».
Piuttosto - ha proseguito - «siamo chiamati a imitare la commozione e la compassione di Gesù dinanzi al dolore, che lo porta a vivere nella sua stessa carne le sofferenze del mondo». Il dolore, specialmente quando è così lancinante e privo di spiegazioni – il passaggio successivo del ragionamento - «ha bisogno soltanto di restare aggrappato al filo di una preghiera che grida a Dio giorno e notte, che a volte si esprime nell'assenza delle parole, che non tenta di risolvere il dramma ma, al contrario, abita domande che sempre tornano».
Domande in cui ci si chiede “perché è capitato proprio a me? Perché Dio non sei intervenuto?”. Questi interrogativi – ha continuato - «che bruciano dentro, inquietano il cuore; allo stesso tempo, però, se ci mettiamo in cammino, come con tanto coraggio e anche con fatica fate voi, sono proprio queste domande sofferte ad aprire spiragli di luce, che danno la forza di andare avanti». Infatti, non c'è cosa peggiore che tacitare il dolore, «mettere il silenziatore alla sofferenza, rimuovere i traumi senza farci i conti, come spesso induce a fare, nella corsa e nello stordimento, il nostro mondo». La domanda che si leva a Dio come un grido, invece – la conclusione di Francesco - «è salutare. È preghiera. Essa, se costringe a scavare dentro un ricordo doloroso e a piangere la perdita, diventa al contempo il primo passo dell'invocazione e apre a ricevere la consolazione e la pace interiore che il Signore non manca di donare».