Due dichiarazioni sulla pace e sullo sviluppo. Sembra ieri e, invece, era quarant’anni fa. È con queste attenzioni e priorità che il Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam/Sceam) è nato nel 1969, mettendo l’accento proprio su sviluppo e pace. C’è una continuità di preoccupazioni e di interventi nella storia di questo organismo voluto da Paolo VI e che riunisce tutte le Conferenze episcopali del continente africano. Una continuità sottolineata anche dal documento pubblicato alla vigilia della seconda Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi, che si apre oggi in Vaticano. Riunitisi a Roma proprio nei giorni scorsi, i membri del Secam hanno tenuto a sottolineare l’impegno e le molte iniziative portate avanti dalla Chiesa cattolica in Africa non solo in termini di evangelizzazione, ma anche sul piano sociale e culturale. «Un rapido esame – si legge nel documento – degli sforzi effettuati dal Secam per la riconciliazione, la giustizia e la pace, nei suoi quarant’anni di esistenza, rivela che fin dal momento dell’inaugurazione del Simposio, nel luglio 1969, i vescovi del continente si erano impegnati a sostenere papa Paolo VI nella sua missione di pace in Africa, con la pubblicazione di due dichiarazioni sulla pace e lo sviluppo al termine dell’Assemblea inaugurale». Temi come riconciliazione, promozione umana, giustizia, pace, risoluzione dei conflitti sono stati al centro dei diversi simposi organizzati dall’organismo panafricano. Sino al documento pubblicato dopo la dodicesima Assemblea plenaria tenutasi a Roma nel 2000, che anticipa i temi del Sinodo: «Cristo nostra pace ( Ef 2,14): Come la Chiesa-Famiglia di Dio può essere un sacramento della Riconciliazione in Africa», cui è seguita, nell’ottobre del 2001, una lettera pastorale che è ancora oggi di grande attualità, molto vicina alla tematiche che saranno al centro dei lavori sinodali. Ma anche individualmente le varie Conferenze episcopali si sono avvicinate a questo grande evento della Chiesa africana, elaborando documenti e riflessioni. Come i vescovi dell’Amecea ( Association of Member Episcopal Conferences of Eastern Africa, che comprende Eritrea, Etiopia, Kenya, Malawi, Sudan, Tanzania, Uganda, Zambia), che con lucidità e lungimiranza analizzano i cambiamenti che si sono verificati nei quindici anni intercorsi tra il primo e il secondo Sinodo e mettono in evidenza le speranze e le sfide che si impongono oggi. Alla vigilia dell’apertura dell’assise, propongono dunque alcune considerazioni, auspicando che il Sinodo non si riduca a un evento, ma che possa essere «un processo che continua in tutte le attività della Chiesa». Per questo, chiedono che le «conclusioni e le raccomandazioni siano molto concrete e realizzabili», accompagnate da un preciso piano strategico per la loro messa in pratica. «Ci rechiamo al Sinodo accompagnati dalle preghiere e dalle preoccupazioni di milioni di fedeli cristiani – scrivono –. La nostra speranza è autentica perché è fondata sulla promessa di Gesù che sarà sempre con noi». Nella loro analisi i vescovi dell’Amecea sottolineano, innanzitutto, l’impatto nefasto della crisi economica mondiale sul continente africano, che rende ancora più utopistico il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio previsto per il 2015. Al contempo, sottolineano le conseguenze catastrofiche dei cambiamenti climatici, che hanno provocato nei Paesi dell’Amecea «disastri ecologici», siccità e inondazioni, crisi alimentari e spostamenti di popolazione. Questi stessi Paesi continuano a essere interessati da guerre e instabilità. Il caso più drammatico è quello della Somalia, ma non si possono dimenticare le difficili situazioni di Sudan, Etiopia, Eritrea, Uganda, o le tensioni e le violenze post-elettorali del Kenya e dei vicini Sudafrica e Zimbabwe. Proprio dallo Zimbabwe arriva un coraggioso documento dei vescovi del Paese che, alla vigilia del Sinodo, si interrogano su Guarigione nazionale e riconciliazione . «Siamo tutti colpevoli – scrivono i presuli nella loro lettera pastorale –, coloro che sono stati vittime una volta, sono diventati aggressori la volta successiva, mentre molti altri non hanno fatto nulla di fronte alle atrocità perpetrate sotto i loro occhi. Oggi, tutti abbiamo bisogno di guarire da queste ferite e dal nostro senso di colpa. Questa guarigione faciliti la riconciliazione tra di noi e con il nostro Creatore. Con la guarigione e la riconciliazione, la nostra nazione potrà riprendersi e procedere allo sviluppo politico, sociale, culturale ed economico ». Quelli che verranno affrontati dai padri sinodali sono dunque temi che interpellano quotidianamente e a fondo tutte le Chiese locali d’Africa, con situazioni – come quella dello Zimbabwe – dove le questioni di giustizia, pace e riconciliazione sono oggi quanto mai urgenti e vitali per ricostruire il futuro del Paese. «Abbiamo fatto degli errori – scrivono i vescovi – . Abbiamo ignorato quelli che erano sconvolti fisicamente e psicologicamente dalla povertà, dalla discriminazione e dall’oppressione». Per questo, oggi, in vista del secondo Sinodo per l’Africa, i vescovi dello Zimbabwe ribadiscono il loro rinnovato impegno a promuovere la riconciliazione nazionale: «Come il tema del secondo Sinodo africano ci esorta, ci impegniamo ad essere una Chiesa al servizio della riconciliazione, della guarigione, della giustizia e della pace. Ed esortiamo il governo a mostrare la volontà politica, creando un ambiente favorevole per la guarigione e la riconciliazione nazionale».