sabato 22 settembre 2018
L'accordo, lungamente atteso, riguarda la nomina dei vescovi, che d'ora in poi avverrà con l'avallo del Papa. L'annuncio in contemporanea dalla Santa Sede e da Pechino
Papa Francesco saluta i fedeli cinesi in un'udienza del giugno 2016 (Ansa)

Papa Francesco saluta i fedeli cinesi in un'udienza del giugno 2016 (Ansa)

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Si firma la storia: pace è fatta tra Cina e Vaticano. Mentre il Papa vola verso le repubbliche baltiche, sotto i cieli di Pechino l’annunciato accordo è stato siglato. Lo rende noto ufficialmente il comunicato diffuso oggi in contemporanea dalla Sala Stampa Vaticana e dal governo cinese.

«Nel quadro dei contatti tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese – si afferma nel comunicato – che sono in corso da tempo per trattare questioni ecclesiali di comune interesse e per promuovere ulteriori rapporti di intesa, oggi, 22 settembre 2018, si è svolta a Pechino una riunione tra mons. Antoine Camilleri, Sotto-Segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati, e S.E. il Sig. Wang Chao, viceministro degli Affari Esteri della Repubblica Popolare Cinese, rispettivamente capi delle delegazioni vaticana e cinese. Nel contesto di tale incontro – si informa – i due rappresentanti hanno firmato un Accordo Provvisorio sulla nomina dei Vescovi».

L’accordo «tratta della nomina dei Vescovi, questione di grande rilievo per la vita della Chiesa, e crea le condizioni per una più ampia collaborazione a livello bilaterale». Con l’auspicio condiviso che «tale intesa favorisca un fecondo e lungimirante percorso di dialogo istituzionale e contribuisca positivamente alla vita della Chiesa cattolica in Cina, al bene del Popolo cinese e alla pace nel mondo».

Si tratta di un accordo storico che non riguarda dunque le relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese ma l’annosa questione delle modalità di selezione e nomine vescovili.

Una questione essenziale e cruciale per la vita della Chiesa in Cina perché rende possibile per tutti i vescovi cinesi di essere in comunione con il Papa e per milioni di fedeli cattolici di far parte di un’unica comunità. Con questo atto, infatti, le parti hanno concordato il metodo di una soluzione condivisa: la Santa Sede accetta che il processo di designazione dei candidati all’episcopato avvenga dal basso, dai rappresentanti della diocesi anche con il coinvolgimento dell’Associazione patriottica, mentre il governo cinese da parte sua accetta che la decisione finale, con l’ultima parola sulla nomina, spetti al Pontefice e che la lettera di nomina dei vescovi sia rilasciata dal Successore di Pietro.

Come comunicato nella nota informativa diffusa dalla Sala Stampa vaticana, «al fine di sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina», papa Francesco ha deciso «di riammettere nella piena comunione ecclesiale anche i rimanenti vescovi “ufficiali” ordinati senza mandato pontificio».
L’accordo definisce quindi anche i termini della legittimazione canonica dei sette vescovi che erano stati ordinati senza l’approvazione del Papa (QUI I NOMI DEI VESCOVI), compresi quelli per i quali era stata dichiarata la pena della scomunica, e da adesso, tutti i vescovi cinesi saranno ordinati in piena e pubblica comunione gerarchica con il Papa. Così «per la prima volta oggi tutti i vescovi in Cina sono in comunione con il Vescovo di Roma» ha affermato il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin nella sua dichiarazione diffusa dalla Sala Stampa in riferimento alla firma e agli obiettivi dell’accordo.

Di fatto, con quest’intesa, è la prima volta che la Repubblica popolare cinese riconosce il ruolo del Pontefice come guida spirituale e gerarchica della Chiesa.

Seppure il testo dell’accordo non viene pubblicato e definito «provvisorio» – in quanto strumento aperto a graduali e ulteriori messe a punto – certamente, quindi, la sottoscrizione di questa firma d’intesa appiana non solo una vexata questio, archivia un passato di divisioni e di grandi sofferenze sperimentate nel corso di alterne vicende dei cristiani in Cina e getta le basi al tracciato di una pagina nuova della storia della Chiesa nella Repubblica popolare cinese.

Recentemente la possibilità imminente dell’accordo «su un piano religioso» – che avrebbe lasciato fuori il livello politico dell’allacciamento di relazioni diplomatiche tra Pechino e il Vaticano – era stata profilata dal Global Times, la testata online in lingua inglese considerata organo semi-ufficiale del Partito Comunista cinese. Gli obiettivi che hanno mosso la Santa Sede nel trattare le delicate vicende del cattolicesimo in Cina non hanno del resto risposto a logiche mondane ma pastorali: aiutare a migliorare la condizione dei cattolici cinesi nel contesto politico e sociale in cui si trovano per vivere ed esprimere pubblicamente il legame di comunione con la Chiesa di Roma.

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Un’intensificazione di comunicazioni bilaterali, senza mediazioni, è accreditata al 2017. Lo strumento operativo che ha incarnato la nuova fase dialogante dei rapporti tra Pechino e Santa Sede è stata la commissione bilaterale di lavoro ricostituitasi dopo l’inizio del pontificato di papa Francesco e della presidenza di Xi Jinping. Dal giugno 2014, le delegazioni, incaricate di studiare soluzioni ai problemi che hanno reso anomala la condizione del cattolicesimo cinese, si sono riunite decine di volte, con sessioni ospitate di volta in volta a Roma o a Pechino.

In quel tavolo di lavoro riservato si era negoziato un accordo condiviso sulle modalità di selezione e nomina dei vescovi e anche sulla legittimazione e futura destinazione di sette vescovi cattolici illegittimi, ordinati su pressione degli organismi cinesi e senza consenso papale.

Il criterio seguito dal Papa e dai suoi collaboratori nei rapporti con le autorità cinesi – come ha ribadito Parolin – è stato prettamente ecclesiale puntando a eliminare per sempre la possibilità di ordinazioni episcopali celebrate in Cina senza il consenso del Papa e della Sede apostolica.

Ma le novità sui rapporti Cina-Vaticano, emerse sotto il pontificato di Francesco, non sono state un cambio di direzione rispetto alla linea seguita dagli ultimi papi riguardo alla questione cinese. Papa Francesco ha più volte riaffermato l’intenzione di muoversi lungo la linea indicata dalla Lettera ratzingeriana del 2007 e per questo ha fatto riannodare i fili del dialogo diretto con Pechino, che si erano bruscamente interrotti tra il 2009 e il 2010.

Sulla cruciale questione delle nomine vescovili per dare soluzione alla condizione dei cattolici in Cina il riferimento imprescindibile è stata infatti proprio la famosa Lettera ai cattolici cinesi del 2007. Nella sua lettera Benedetto XVI aveva esplicitamente esternato il desiderio di un accordo con il governo di Pechino per risolvere la scelta dei candidati all’episcopato: «Auspico che si trovi un accordo con il Governo per risolvere alcune questioni riguardanti sia la scelta dei candidati all'episcopato sia la pubblicazione della nomina dei vescovi sia il riconoscimento — agli effetti civili in quanto necessari — del nuovo vescovo da parte delle Autorità civili» e aveva ribadito anche come la soluzione dei problemi esistenti non poteva essere «perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime Autorità civili».

La Lettera di Benedetto XVI, firmata il giorno di Pentecoste e resa nota il 30 giugno 2007, ha rappresentato perciò la pietra miliare, il documento chiave carico di buoni auspici per i cattolici nella Cina moderna. Papa Francesco nella conferenza stampa durante il volo di ritorno da Seul, il 18 agosto 2014, aveva ribadito l’attualità di quel documento che è rimasto «fondamentale e attuale per il problema cinese»: «Noi rispettiamo il popolo cinese; soltanto, la Chiesa chiede libertà per la sua missione, per il suo lavoro; nessun’altra condizione… non bisogna dimenticare quel documento fondamentale per il problema cinese che è stata la Lettera inviata ai cinesi da papa Benedetto XVI. Quella oggi è attuale». E sottolineava: «Rileggerla fa bene... sempre la Santa Sede è aperta ai contatti: sempre, perché ha una vera stima per il popolo cinese».

L’atto compiuto oggi dal Vaticano è perciò l’espressione di una prospettiva già delineata da Papa Benedetto nei confronti della vita della Chiesa in Cina. Come ha ribadito più volte anche lo stesso cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin: «Su questo punto vorrei rifarmi ancora alle parole di Benedetto XVI nella sua lettera ai cattolici cinesi. Egli insegna che la missione propria della Chiesa non è quella di cambiare le strutture o l’amministrazione dello Stato… La Chiesa in Cina non vuole sostituirsi allo Stato, ma desidera offrire un contributo sereno e positivo per il bene di tutti. Pertanto, il messaggio della Santa Sede è un messaggio di buona volontà, con l’augurio di proseguire nel dialogo intrapreso per contribuire alla vita della Chiesa cattolica in Cina, al bene del popolo cinese e alla pace nel mondo».

Il Segretario di Stato aveva anche chiaramente detto che l’auspicio della Santa Sede era «di vedere, in un futuro non lontano, le comunità in Cina riconciliarsi, accogliersi, donare e ricevere misericordia per un comune annuncio del Vangelo, che sia veramente credibile». E questa è – aveva ribadito – la riconciliazione «che sta davvero a cuore anche a Papa Francesco: che si superino le tensioni e le divisioni del passato ben sapendo che quella Chiesa conosce figure di eroici testimoni del Vangelo, un fiume di santità spesso nascosta o sconosciuta ai più». Un cammino di riconciliazione che come annota ancora con fiducia oggi Parolin, potrà da adesso essere «un esempio eloquente per il mondo intero».

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