«In questi giorni di riflessione sulle riforme, voglio consigliare ai miei colleghi senatori la lettura dell’ultimo saggio di Giuseppe Guarino. Se ne ricava una informazione interessante, che io almeno non conoscevo: nel 1957 i Pil di Germania, Francia e Italia, messi insieme, superavano quello degli Usa. Oggi, meno di 60 anni dopo, gli Stati Uniti hanno un prodotto interno lordo due volte superiore a quello aggregato dei tre maggiori Paesi europei. Ecco, mettiamola così: qualcuno sta trasformando il famigerato articolo 2 in una sorta di totem che si frappone a ogni tentativo di risalire la china». Non rinuncia mai a toni misurati e quasi "paterni", Luigi Zanda. E per portare il Pd unito alla prova delle riforme, il capogruppo al Senato sfodera l’arma più potente e persuasiva, il richiamo alla responsabilità rispetto ai primi segnali di crescita. Stesso registro anche sull’altro tema caldo del momento, le unioni civili. «È mia convinzione, non da oggi, che una legge ci voglia. Nel merito siamo pronti ad ogni ulteriore chiarimento. L’adozione di figli non naturali è esclusa punto e basta. Se serve ribadire che l’utero in affitto è vietato lo ribadisco. Se serve specificare i singoli diritti senza riferimenti al matrimonio, siamo qui senza preclusioni. Ma per ragionarci deve finire l’ostruzionismo». L’obiettivo, specifica Zanda, resta quello di portare il ddl Cirinnà in Aula entro il 15 ottobre, prima della legge di stabilità. Al netto, ovviamente, dei lavori in Commissione di come si sviluppa l’esame della riforma costituzionale.
Senatore, con la riforma del Senato siamo arrivati al crocevia della legislatura, a quanto pare...Vede, dobbiamo riportare la discussione alla sua giusta dimensione. Qui stiamo parlando di una riforma condivisa al 95 per cento. Siamo d’accordo sulle natura del nuovo Senato, sulle funzioni, anche sulla composizione se leggiamo bene le parole di Vannino Chiti. E sul tema che più ha creato polemiche, il peso dei cittadini nella scelta dei nuovi senatori-consiglieri regionali, è stata offerta una soluzione sostanziale, quella del listino. Dire che il compromesso deve cadere per forza nell’articolo 2 significa arroccarsi politicamente. Gli articoli 10 e 35 vanno benissimo per trascrivere l’intesa raccordandosi con l’articolo 2. Chi si batte per correggere quell’articolo lì, anche a costo di scatenare un diluvio di conseguenze, ne fa una questione di grammatica costituzionale. La grammatica è importante, ma ci sono cose essenziali e prioritarie come la stabilità del sistema politico, la coesione sociale del Paese, la guerra alla disoccupazione...».
Dall’altra parte si obietta che ad arroccarsi è Renzi. Non sarebbe bene consultare la base del Pd?Io ho girato tante feste dell’Unità come tutti i colleghi. Credo che come me anche la minoranza abbia avvertito il profondo fastidio per divisioni e fratture. La nostra base ha ben chiaro che in questo momento se cede il Pd il Paese è molto, molto più debole.
Intanto l’apertura di Tonini a Chiti rappresenta un passo in avanti nel dibattito?Bene il dibattito e tutto ciò che fa cadere qualche muro. Ma direi che in questa fase dobbiamo confrontarci nella commissione che abbiamo istituito. Tonini ha lealmente proposto una ricognizione dell’impianto del provvedimento e dei punti condivisi. In particolare sull’articolo 2 la mia posizione è nota: è stato approvato da Camera e Senato e una sua modifica costituirebbe un serio strappo regolamentare.
La questione è che, permanendo la frattura, il 15 ottobre il governo potrebbe avere una nuova maggioranza...L’accordo arriverà, sui numeri non ci sarà alcun affanno e la maggioranza non cambierà. È possibile e auspicabile che sulla riforma costituzionale convergano altri voti dalle opposizioni, ma ciò non modificherà il volto e la natura della maggioranza che sostiene il governo. Sono convinto che al momento del voto molti assumeranno come criterio di scelta quello della responsabilità. Nessuno dei 28 che voi chiamate "dissidenti" è indifferente allo scenario politico ed economico complessivo. C’è una sproporzione evidente tra il tema sollevato e le conseguenze del «no».
Ma giorno dopo giorno cresce la sensazione che l’intesa, più che riguardare la riforma, riguardi altre questioni politiche...Non si mercanteggia sulla Costituzione, è una deriva che personalmente non potrei tollerare. Men che meno si mercanteggia con le correzioni all’Italicum.