Come da manuale delle trattative, tutto si sblocca in extremis. E arriva un’accelerazione. Come prassi vuole oggi, tutto si consuma a colpi di dichiarazioni video. Prima, alle 7 meno 10 della sera (a incontro con le delegazioni di M5s e Pd ancora in corso), una di Giuseppe Conte per «aggiornare» sullo stato delle trattative. Ma soprattutto, subito dopo, quella di Luigi Di Maio per annunciare che «il problema non esiste più». Il "problema", nella fattispecie, è quello del posto da vicepremier a cui - si è sempre detto - lui non voleva rinunciare. Dopo giorni di ultimatum e di pressioni (fatte e subite), la ricostruzione finale del capo politico di M5s ora è un’altra: «La sensazione avuta – ha detto – è che, mentre noi passavamo giornate a lavorare sul programma, qualcun altro le passava a colpire me». Quindi, meglio accettare la soluzione proposta domenica dal dem Franceschini: via l’ipotesi dei due vicepremier. «In questi giorni si è detto che la trattativa si è bloccata sui posti da vice – ha ricostruito Di Maio –. Ma non è vero. Abbiamo saputo che il Pd ha rinunciato e il problema sparisce. Se ci avessero pensato prima non ci sarebbe stato questo inutile dibattito». Poi un rilancio: «Chiederemo di applicare a tutti i ministri le stesse regole ferree del codice etico di M5s: no condannati e no indagati per reati gravi».
Come che sia, il punto è che così si sblocca il nodo principale che (votazione su Rousseau a parte) rischiava di stroncare sul nascere il tentativo di formare il governo fra 5 stelle e Pd, unica via d’uscita alla crisi. Uno sblocco arrivato al termine di un’altra giornata di trattative: il premier incaricato Giuseppe Conte ha visto dapprima i rappresentanti delle associazioni dei disabili e dei terremotati, poi alle 17,30 di nuovo i capigruppo dei due partiti a Palazzo Chigi. Infine, a sera ha visto i big della trattativa (Franceschini e Orlando per il Pd, Spadafora per i 5s), e i capigruppo di Leu. E per dare un’ulteriore spinta alla "gestazione" dell’esecutivo ha deciso di rivolgersi direttamente ai militanti del Movimento (oltre che a quelli del Pd). Dal suo studio a Palazzo Chigi ha rivendicato la volontà di un esecutivo «forte», di cui sarà «il primo responsabile: basta perplessità, non teniamo le idee nel cassetto. Con Di Maio, Zingaretti e le altre forze che sosterranno il governo – ha scandito – abbiamo una grande opportunità: migliorare l’Italia».
Appena una manciata di minuti e, sulle chat dei parlamentari, si diffonde la notizia che un altro video è in arrivo: di Di Maio, stavolta. Pronto a spazzare via l’ipoteca che da giorni "legava" la trattativa con i dem. Una mossa indotta anche dal pressing avviato dalla mattinata, quando dal Nazareno - sede del Pd - è partito l’ordine di diffondere al massimo un video del 4 marzo 2018 in cui si vede un (allora semi-sconosciuto) Giuseppe Conte abbracciare tutto festante il leader pentastellato per la vittoria alle elezioni. Un filmato ripescato per contestare l’ostruzionismo di Di Maio, teso ad accreditare l’idea che Conte fosse effettivamente un premier super partese che, quindi, fosse legittimo da parte di M5s reclamare un vicepremier.
Superato questo scoglio, non resta che aspettare il verdetto degli iscritti 5s, atteso oggi nel timore che siano i no a prevalere. Se tutto filerà liscio, Conte scioglierà la riserva e presenterà la lista dei ministri al capo dello Stato. Come sempre, tuttavia, preoccupa anche il pallottoliere del Senato, dove occorrono sulla carta 161 voti favorevoli. Per chiudere, però, sarà comunque necessario un altro incontro nella giornata odierna.