giovedì 19 gennaio 2012
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«Sono venuto sull’Isola del Giglio per pregare, per ringraziare e per incoraggiare. Questa mattina ho incontrato alcuni parenti dei dispersi e non sono state necessarie tante parole: in questi frangenti basta uno sguardo, una stretta di mano e soprattutto una preghiera». È giunto ieri mattina con il traghetto il vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello, Guglielmo Borghetti, e come prima cosa si è fermato a pregare nella chiesa dei santi Lorenzo e Mamiliano, la stessa che venerdì 13 gennaio, nella notte, ha dato accoglienza ai primi 400 naufraghi. «Quella sera ho visto la nave Costa vicina alla terraferma come mai era avvenuto prima – gli ha raccontato don Lorenzo Pasquotti, parroco all’isola da tre mesi – ma credevo stesse proseguendo il suo viaggio. Alle 23 però mi hanno telefonato alcuni parrocchiani e mi hanno detto che stava succedendo qualcosa di terribile. Questa è una chiesa e io l’ho aperta subito. I più fortunati hanno occupato una panca per la notte, gli altri stavano per terra. Di quella gente ricorderò per sempre il silenzio, la dignità, il disorientamento. Di quelle ore il freddo, tanto freddo. Dei giorni successivi il darsi da fare da parte di tutti, ognuno secondo le proprie competenze».E il grazie del vescovo, infatti, è diretto alla gente del posto, ma anche alle tante squadre di soccorso giunte da tutta Italia e attive 24 ore al giorno: «Sono qui per esprimere la mia vicinanza a tutte le Forze dell’ordine – ha proseguito il vescovo – per dire che la Chiesa vi è vicina. Quando saranno spenti i riflettori e le operazioni saranno meno convulse, faremo una celebrazione solenne, ma ora voglio dire che siete stati straordinari, meravigliosi, meglio di così non si può rispondere davanti all’imprevisto». Quanto ai gigliani, «hanno scritto nel loro Dna il senso dell’ospitalità, motivato da profonde radici cristiane. L’Italia buona esiste ed è la nostra gente, il nostro popolo. Questa è la vera Italia. Quanto è avvenuto qui è la metafora dell’Italia reale». Non un commento, invece, sul comandante Francesco Schettino, «che lasciamo al giudizio della magistratura: non amo i processi mediatici. Certo, siamo sconcertati dal colloquio che abbiamo ascoltato in tivù, ma c’è chi farà chiarezza. La mia non è un’assoluzione né una condanna, guardiamoci dentro, tutti noi nella vita prima o poi abbiamo dovuto fare i conti col nostro senso di responsabilità, abbiamo tutti bisogno di misericordia».Una testimonianza di quanto nelle prime drammatiche ore anche il più piccolo aiuto fosse vitale viene da suor Lina, una delle tre suore francescane presenti sull’isola, che quella notte ha aperto l’asilo: «Siamo una suora italiana, una filippina e una indonesiana», un’ancora di salvezza per molti stranieri, soprattutto per i ragazzi dell’equipaggio venuti dall’Estremo Oriente, i più disarmati, spesso incapaci di parlare una lingua che non fosse la loro, «arrivati per ultimi perché erano rimasti ad aiutare i passeggeri». Del loro passaggio sull’isola, restano alcuni simboli toccanti, che il parroco conserva accanto all’altare: un salvagente, un casco, una corda, il telo strappato dalle scialuppe per cercare di scaldarsi e soprattutto un cesto di pane, «il pane sbocconcellato dai naufraghi, quello che è rimasto quando se ne sono andati».A bordo di una motovedetta delle Fiamme Gialle il vescovo si è poi recato alla nave semiaffondata per pregare accanto ai tanti dispersi, i cui familiari attendono ancora di avere qualche notizia: anche la peggiore è preferibile al non sapere più nulla. «Non sono qui a benedire la nave – ha spiegato – ma le persone, quelle che non ci sono più e quelle per le quali ancora vogliamo sperare. Non c’è nulla di più efficace della preghiera, l’azione che porta all’unione con Dio». Accompagnato dal colonnello della Finanza, Italo Spalvieri, ha così raggiunto la Concordia e lì, con una breve ma toccante cerimonia, alla presenza di una dozzina di persone, si è rivolto al «Signore del cielo, della terra e del mare», al quale ha affidato «il cuore di tutti coloro che in queste ore trepidano nell’ansia dell’attesa, le vite di tutti gli uomini del soccorso, di questo dispiegamento interforze che sta dando il meglio di se stesso. Su di loro discenda abbondante la Tua benedizione». Poi l’invocazione alla Madonna: «Non possiamo dimenticare Maria Stella Maris, invocata da tutti i naviganti in ogni porto. Le affidiamo l’isola del Giglio, la nostra preghiera di suffragio per i defunti, l’attesa delle famiglie dei dispersi, il dolore dei parenti di chi è defunto».Il suo viaggio è poi proseguito per la costa toscana, dove ha portato conforto ai parenti dei dispersi di ogni nazionalità. Intanto alcuni di questi, francesi, sono scesi al Giglio visibilmente provati, e a lungo sono rimasti a colloquio con l’Unità di crisi. «Questa era un’isola solo di vacanze», ha notato don Lorenzo al loro passaggio, «ora non sarà mai più la stessa: per tutta la vita i gigliesi non scorderanno tutto questo».
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