mercoledì 13 aprile 2016
Casaleggio, uno stratega fra web e televisione
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Moderni, ma senza esagerare. Entusiasti della tecnologia, un po’ meno smaliziati sui contenuti. Con un occhio sullo smartphone, ma la testa ancora dentro il televisore. Sono gli italiani, anzi: siamo noi. E Gianroberto Casaleggio ci conosceva bene. Stratega riconosciuto dell’avanzata mediatico-elettorale del Movimento 5 Stelle, era riuscito a trasformare uno strumento dalla reputazione digitale assai compromessa (un blog? negli anni Dieci? ma stiamo scherzando?) in un inarrestabile marchingegno di mobilitazione civile e di costruzione del consenso. L’idea era, più o meno, la stessa che attorno al 2004 aveva reso momentaneamente celebre il democratico statunitense Howard Dean, la cui candidatura alle presidenziali era stata sostenuta da una vasta rete di blogger. Se ne fece un gran parlare, ma il risultato fu deludente. Ne rimase traccia nei convegni dove gli esperti, scuotendo sconsolati la testa, dovevano ammettere che così, purtroppo, non funzionava. E Casaleggio, da un certo punto di vista, ha dato loro ragione. Perché affidarsi a una galassia di blog quando ne basta uno solo? L’indirizzo lo conosciamo, beppegrillo.it. Non particolarmente avanzato quanto a grafica e funzionalità, ma formidabile per efficacia. Una contraddizione in termini, come continuano a ripetere gli studiosi: il web si è evoluto, dal 2.0 in poi le gerarchie non sono più ammesse, impensabile intervenire sui commenti. In linea di principio tutti d’accordo, e infatti “uno vale uno” rimane il più azzeccato degli slogan la cui diffusione è stata favorita dall’intuito di Casaleggio. All’atto pratico è andata – e va – molto diversamente. Nell’era dell’orizzontalità, il blog di Grillo è l’ultima enclave della verifica verticale. Top down, dall’alto verso il basso. Uno parla, gli altri ascoltano. Non che per questo la discussione del tutto sia inibita, però. A questo e a molto altro provvedono i social network, meno impegnativi da gestire, ma rapidissimi nel garantire la proliferazione del messaggio generato dal blog principale. Casaleggio, che a maneggiare i media aveva imparato sul campo, si rivelò da subito abilissimo nel distillare il meglio dalle diverse piattaforme. A dettare la linea sono i post di beppegrillo.it (testuali, di solito, anche se in video il titolare, come si sa, viene benissimo), su Facebook e in misura minore su Twitter gli attivisti rilanciano e discutono, sbeffeggiano la casta e denunciano il complotto. È il popolo della rete, bellezza, e tu non puoi farci niente. Al bando la televisione, se non nella versione militante dello streaming. Ecco, a distanza di qualche anno bisogna ammettere che il vero colpo di genio del M5S è stato questo. In un Paese dominato dalla tv, e nel quale la politica stessa era di fatto assimilata a uno spettacolo televisivo, l’esilio – più o meno volontario – di deputati e senatori dal piccolo schermo equivaleva a un’invasione al contrario. Non esserci affatto era ancora più vistoso dello stare di continuo davanti le telecamere. Mentre quel che restava della Seconda Repubblica (anche qui, come con web qualcosa-puntozero, si è ormai perso il conto) si logorava sotto i riflettori, dai ranghi del Movimento si selezionavano i fuoriclasse di oggi: i Di Maio, i Di Battista, le Virginia Raggi che sbaragliano la concorrenza. Non telegenici in senso tradizionale, forse, ma perfetti per dare l’impressione di essere transitati da YouTube a Ballarò senza passare da trucco e parrucco. Che dietro tutto questo ci fosse il mestiere di Casaleggio è risaputo, ma c’è un altro elemento che solitamente si trascura di sottolineare: gli eventi dal vivo, in una gamma che dal primordiale V-Day si estende fino alla modularità dei meet-up, raduni estemporanei nell’aspetto e assai ben dosati negli ingredienti, come se il blog fondatore si fosse materializzato in un tableau vivant. In quelle occasioni Casaleggio, che di norma amava restare in secondo piano, si manifestava sul palco, preferibilmente in chiusura. Ringraziava, puntualizzava, anticipava. Profetizzava, direbbe qualcuno, ma su questo davvero ci sarebbe da aprire il dibattito. Di sicuro, senza mai rinunciare al suo atteggiamento compreso e scostante, Casaleggio metteva in atto le micidiali tattiche di base che la comunicazione ha appreso per tentativi ed errori fin dall’epoca di Napster. Preistoria digitale, è vero, ma l’abbiamo detto all’inizio, no?, che noi italiani siamo moderni a modo nostro.
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