domenica 2 dicembre 2018
Fondo decimato del 90% dal 2019. Tutti i partiti, tranne i 5 stelle, si dicono contrari. E i direttori dei giornali coinvolti denunciano il colpo alla libertà di stampa
Tagli all'editoria, «duro colpo al pluralismo»
COMMENTA E CONDIVIDI

C’erano una volta i finanziamenti all’editoria. Oltre 500 milioni di euro fino al 2009, poi dimezzati e ancora ridotti a circa 150 milioni. Finché con l’ultima riforma del 2016 nel rinominato «Fondo per il pluralismo e l’innovazione» sono rimasti poco più di 50 milioni di contributi diretti, da spartire tra 48 testate regionali e nazionali (tra cui Avvenire) e un centinaio di testate locali. Tutte facenti capo a cooperative o imprese senza fini di lucro. Una somma complessiva che equivale a meno di un decimo dei ricavi di uno solo tra i grandi gruppi editoriali italiani. O se si preferisce al 2,5% del gettito del canone Rai. Un microstanziamento nella grande torta della spesa pubblica italiana da 800 miliardi. Eppure ancora troppo, secondo qualcuno. L’esile contributo al pluralismo informativo e delle idee, nei territori come a Roma, non va eventualmente riformulato, ma semplicemente spazzato via. Così almeno dispone l’emendamento alla manovra, presentato da M5s, che prevede la decimazione del Fondo, cioè un taglio medio del 90% dei contributi, a partire già dal 2019. Considerando che la manovra viene approvata in genere sotto Natale, il provvedimento non concede alle aziende editoriali interessate nemmeno un preavviso di due settimane. Sindacato dei giornalisti ed editori lanciano un appello: l’emendamento mette a rischio almeno un migliaio di posti di lavoro, il governo si fermi e apra un confronto.

In Parlamento nessun’altra forza politica è a favore della linea 5stelle. Le preoccupazioni relative alla tutela del pluralismo sono diffuse, come evidenziato dai ripetuti appelli del capo dello Stato Sergio Mattarella. Anche la Lega, al governo con M5s, boccia l’emendamento. Ma è pronta a trovare un’intesa con gli alleati già nella legge di bilancio. L’editoria non profit resta al centro del mirino. (di Nicola Pini)

Ecco cosa ne pensano parlamentari di opposti fronti politici e direttori di giornale.

Di Nicola (M5s): «No soldi pubblici, sì a editori puri»

di Vincenzo R. Spagnolo

Giornalista d’inchiesta per trent’anni all’Espresso, poi al Fatto quotidiano e infine direttore del Centro, il senatore pentastellato Primo Di Nicola il mondo editoriale lo conosce bene. E difende la linea del Movimento.

Perché volete tagliare il sostegno pubblico a un settore così vitale per la democrazia?

Il Movimento è coerente. Sin dalla sua nascita, manifesta netta contrarietà ai contributi pubblici all’editoria, rivelatisi fonte di scandali e truffe, di cui i nostri tribunali sono ancora pieni. Per noi, la stampa deve essere libera. E i finanziamenti dello Stato non sono un buon viatico: squilibrano il mercato, chi non ne riceve si trova in svantaggio.

Il taglio finirà per ridurre quel pluralismo di voci e che è un valore costituzionale. Non la preoccupa, da cittadino e giornalista?

La verità è che il mondo dell’editoria è già in crisi da anni, per cause che nulla hanno a che fare con la questione dei contributi pubblici.

E dunque non sarebbe piuttosto il caso di sostenerlo, come si fa con altri settori?

L’editoria italiana non può sperare di sopravvivere alle sfide del mercato mungendo le casse dello Stato. C’è una sola via da percorrere: professionalità e innovazione, accompagnate da un’iniezione di autonomia. L’Italia ha bisogno di editori puri e giornalisti liberati dai condizionamenti derivanti dai conflitti di interessi della stragande maggioranza di proprietari delle testate. Solo così si può sperare di vendere più copie. Le altre sono solo facili scorciatoie.

La perdita di posti di lavoro di giornalisti professionali non darà più spazio a notizie farlocche o di 'marketing' mascherato?

M5s non vuole indebolire il giornalismo professionale. Noi vogliamo, ripeto, giornalisti liberi. E vogliamo contribuire a creare tutte le condizioni, anche di mercato, per favorire la nascita di un ambiente in cui questo giornalismo libero possa crescere e prosperare. Condizioni indispensabili per la nascita dell’editore puro, che ogni giorno ha come unico obiettivo, non avendo interessi in altri settori economici, quello di fare il migliore dei giornali possibili. Senza secondi fini, ma con l’unico scopo di servire la buona causa della corretta informazione, di cui lettori e cittadini hanno disperatamente bisogno.

Morelli (Lega): «Così questo testo non lo votiamo»

di Nicola Pini

«L’emendamento M5s è ammazza-editoria, non è un punto di equilibrio che esprime una posizione comune della maggioranza. Non credo che arriverà al voto e in quel caso noi confermeremo la nostra posizione». Alessandro Morelli, presidente della commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera e referente della Lega per il settore dell’editoria è deciso nel suo no alla «tagliola» sui Fondi per il pluralismo. Eppure dà sostanzialmente per scontato che sulla materia si interverrà con con un emendamento alla manovra benché la materia non sia compresa («grazie a noi», sottolinea) nel contratto di governo. «Il M5s ne ha fatto una sua bandiera», spiega.

Morelli, i fondi all’editoria sono stati riformati da soli due anni. E necessario cambiare di nuovo?

L’attuale sistema di sovvenzionamento è una norma sorpassata. La riforma Lotti si basa su logiche che guardano al passato. Il nostro sistema dell’informazione è molto arretrato e non si sta accorgendo di quello che sta per succedere, ovvero della rivoluzione portata dalla tecnologia 5G. Il sostegno all’editoria va mantenuto. Purché i soldi pubblici siano spesi per finalità pubbliche. Io penso a un aiuto all’aggiornamento del settore rispetto a questa tecnologia.

Un sostegno uguale per tutti?

Mi si devono spiegare i criteri in base ai quali una testata è più meritevole di un’altra. Da parte nostra c’è piena disponibilità a interloquire con tutti e io mi sento pure di rilanciare. Se l’obiettivo è pubblico e condiviso la cifra da destinare al settore, gli attuali 50-60 milioni, potrebbero anche essere pochi. Ripartiamo da un foglio bianco per riscrivere gli obiettivi. La priorità al momento è restare aggiornati a quello che avviene nel mondo. Investire una cifra adeguata su questo terreno è giusto.

Non ritiene importante, al di là delle evoluzioni tecnologiche, tutelare il pluralismo e sostenere l’editoria senza fini di lucro?

Certo. È ragionevole farlo ma ci vuole un criterio condiviso. Ci sono testate importanti che hanno contributo alla storia del Paese, ce ne sono altre che non hanno necessità del contributo pubblico e questo rende oggi il mercato editoriale un po’ distonico. Quindi: sì al sostegno, no al vivere di aiuto pubblico. Ma serve un periodo di transizione.


Ascani (Pd): «Una rappresaglia antidemocratica»

di Roberta d'Angelo

«Questa rappresaglia del Movimento 5 Stelle contro il mondo dell’editoria e contro la stampa libera è scellerata. Il Pd ha denunciato dal primo momento la gravità delle sparate di Di Maio e sodali, sin da quando erano all’opposizione, e darà battaglia nelle aule parlamentari per evitare che si perpetri un vero e proprio scempio». Anna Ascani, capogruppo dem in commissione Cultura alla Camera, promette battaglia.

La misura metterà in crisi molte realtà editoriali: non crede che in questo modo si riduca il pluralismo di voci e di idee?

La proposta di M5s è piena d’ipocrisia. I contributi all’editoria previsti dalla legislazione attualmente vigente non sono regali ai grandi gruppi editoriali, quelli per i cui presunti conflitti d’interesse il M5s s’indigna soprattutto quando qualche giornalista scopre qualche magagna che li riguarda. I contributi oggi sono percepiti da cooperative di giornalisti, da giornali editi da minoranze linguistiche o associazioni di consumatori, e così via. Si tratta cioè di voci editoriali piccole e molto piccole. Abolendo i finanziamenti a questo tipo di prodotti, si danneggia il pluralismo dell’informazione e, tra l’altro, si avvantaggiano ancora di più quei grandi gruppi che a parole il M5s dice di voler combattere. Ma chiunque indebolisce i giornali, mina la democrazia.

Senza il giornalismo professionale e la pluralità delle voci non si finirà per lasciare più spazio alle informazioni 'pilotate' da interessi economici e alle fake news?

È un rischio molto concreto. Non mi stupisce, infatti, che la proposta venga dal governo delle fake news, i cui azionisti in Parlamento sono molto attivi nella disinformazione sui social media. E i social sono veicoli di un tipo d’informazione (o disinformazione) che fa breccia sugli istinti molto più che sui sentimenti o sulla ragione. Può quindi essere molto pervasiva e molto pericolosa. Indebolire il giornalismo professionale vuol dire minare gli anticorpi che discriminano tra il vero e quel verosimile- virale teorizzato da Casaleggio. Ecco che il cerchio si chiude: chi odia i giornalisti, odia la verità e la libertà. E quindi la democrazia. Almeno quella non 'diretta' da Casaleggio.

Casciello (FI): «Disegno chiaro, eliminare i giornali»

«Il sottosegretario Crimi in audizione nella settima commissione alla Camera disse esplicitamente che i tagli sarebbero stati sostanziali e da me sollecitato non fece mistero del vero obiettivo: sopprimere ogni sostegno in particolare ai pochi giornali quotidiani a diffusione nazionale», dice Gigi Casciello, deputato di Forza Italia ed ex direttore del Roma e di altre testate campane.

Da dove nasce questa drastica proposta di M5s?

Crimi sostenne che, a suo dire, ormai la figura del giornalista è superata dal social manager e che tra gli obiettivi dei 5stelle c’è la possibilità che per dirigere un giornale non sia indispensabile l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti. Insomma, il caos senza alcuna garanzia per i cittadini lettori. Successivamente Crimi, in una seconda audizione nella commissione Cultura, ha tentato di rappresentare meno drasticamente la sua posizione ma i fatti lo smentiscono.

Con un taglio del 90% le conseguenze sarebbero inevitabili.

Sarà inevitabile la chiusura di gran parte dei giornali editi da cooperative di giornalisti e poligrafici. O non sanno di cosa parlano o sono in malafede: i grandi gruppi editoriali già non attingono al Fondo per il pluralismo. Sono i piccoli, i quotidiani provinciali (che il più delle volte sono riusciti a sopravvivere proprio grazie al fatto di essere editi da cooperative, da onlus o enti morali) a rischiare di chiudere. Accedere ai fondi non è una passeggiata: richiede bilanci certificati, regolarità contributiva e retributiva, assunzione dei soci, contributo in base alle copie vendute.

Il mondo dell’editoria è già in crisi da anni. Non sarebbe il caso di sostenere il settore, invece di indebolirlo ulteriormente?

In tutto il mondo sono previste forme di di finanziamento pubblico alla cultura e all’editoria. Un governo dovrebbe preoccuparsi di garantire certezze e dare prospettive alle imprese perché raggiungano un equilibrio economico.

Ma senza la carta stampata non si rischia di dare campo libero alle informazioni 'pilotate' e alle fake news?

Ma è proprio questo l’obiettivo dei tagli ai Fondi per il pluralismo. I 5stelle (ma resto fiducioso in un sussulto di responsabilità da parte della Lega) non vogliono che la gente s’informi ma che venga indirizzata solo dal web, dalla piattaforma Rosseau.

Rangeri (manifesto): «Si vogliono zittire le voci che infastidiscono la maggioranza»

di Norma Rangeri, direttrice del manifesto

L’azzeramento del Fondo per l’editoria è una bandiera dei 5stelle, impugnata con un vigore degno di miglior sorte, dal sottosegretario Crimi. È lo scalpo che i grillini (perché è stato proprio Beppe Grillo, nel famoso Vaffa-day, a iniziare la battaglia contro i giornali) vogliono portare a casa. Ma se così sarà, questo vuol dire una cosa semplice: una cinquantina di testate, tra nazionali e locali, saranno costrette a uscire dalle edicole. Sottolineo un punto: 'Avvenire' e 'il manifesto' sono voci che danno fastidio per le battaglie sulla pace, sull’immigrazione, sui diritti e sulla Costituzione. Per carità, le critiche ci stanno: la grande stampa, da sempre legata a gruppi industriali e finanziari, eppoi la televisione legata al potere politico, sono le due grandi patologie italiane Ma noi, come giornale politico siamo nati proprio per contrastare questo modo di fare informazione. 'Il manifesto' è una cooperativa in tutto e per tutto, orgogliosamente di sinistra, che usa i finanziamenti pubblici per dare voce, ogni giorno da quasi cinquant’anni, a chi non ce l’ha.

Cerasa (Il Foglio): «È la trasformazione dei corpi intermedi in nemici del popolo»

di Claudio Cerasa, direttore responsabile del Foglio

Il tema dell’abolizione dei fondi per l’editoria non può essere messo a fuoco se non lo si inserisce all’interno di una cornice più grande che riguarda un tema diventato purtroppo centrale nel dibattito pubblico del nostro Paese: non considerare la libertà di stampa come un valore aggiunto della nostra democrazia e considerare viceversa come un punto di forza della nuova democrazia anti-casta l’aggressione quotidiana alla libera stampa. La grammatica della nuova epoca populista e sfascista prevede la necessità assoluta di considerare come unica forma di pensiero accettabile, puro, genuino, l’anarchismo digitale sviluppato senza regole sulla Rete e prima ancora del tema dell’abolizione dei fondi per l’editoria ciò che dovrebbe far riflettere è la gravità di avere oggi una classe dirigente al governo disposta a fare la spiritosa quando parla di democrazia rappresentativa, quando promette di superare il voto segreto in Parlamento... Sarebbe bello poter parlare solo del tema dei giornali, ma nella grammatica populista oggi c’è qualcosa di più che vale la pena combattere: la trasformazione dei corpi intermedi in nemici del popolo. È il momento di scegliere da che parte stare.

Senaldi (Libero): «Si dà ragione alla Ue quando lancia l'allarme democrazia»

di Pietro Senaldi, direttore responsabile di Libero

Il taglio dei contributi all’editoria, poche decine di milioni, sconvolgerebbe il quadro dell’informazione italiana. Molti giornali chiuderebbero, altri si vedrebbero costretti a tagliare i costi al punto da compromettere irrimediabilmente il servizio offerto. Resterebbe un pugno di testate, facenti capo a grossi gruppi e interessi economici a decidere cosa tutto il Paese deve sapere ma soprattutto non sapere. Un deserto delle opinioni. Si può vivere anche così, ma il pluralismo dell’informazione è un lusso che la democrazia si regala a poco prezzo e che contribuisce alla crescita culturale e alla consapevolezza dei cittadini. Il governo finanzia film di serie C che non arrivano neppure nelle sale. Privare il Paese dell’apporto intellettuale di centinaia di professionisti che ogni giorno arricchiscono il dibattito nazionale sarebbe un’operazione che darebbe ragione, per una volta, all’Europa quando lancia i suoi allarmi democratici in Italia.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI