lunedì 20 maggio 2024
Slitta ancora, forse a ottobre, l’apertura delle strutture per migranti a Shengjin e Giader. Il Viminale ha chiuso la gara per gestirle, ma le opere della Difesa vanno a rilento
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Sul piano delle dichiarazioni, la premier italiana Giorgia Meloni resta determinata: sull’esternalizzazione dei centri per migranti, ribadisce di buon mattino sulle reti Mediaset, «stiamo facendo da apripista per una soluzione sostenibile». Solo che quella soluzione - ossia l’annunciata realizzazione in terra d’Albania di due strutture in cui collocare una parte delle migliaia di persone soccorse nel Mediterraneo mentre cercano di raggiungere le coste italiane ed europee - finora stenta a decollare. Tanto che, a mesi dall’intesa di novembre fra Roma e Tirana e dalle ratifiche dei rispettivi Parlamenti, l’effetto annuncio potrebbe rischiare di tramutarsi in un effetto boomerang.

Chi si è recato nelle aree dove dovrebbero sorgere i suddetti centri, infatti, per ora ha scorto solo recinzioni e mezzi meccanici per il movimento terra. E, nel frattempo, di mese in mese la data fissata per la loro apertura continua a slittare: prima a inizio 2024, poi a metà maggio - in questi giorni per l’esattezza - per scivolare quindi verso il prossimo ottobre, ma senza granitiche certezze. In parallelo, la stessa presidente del Consiglio - dopo aver ipotizzato una missione a maggio per visitare le opere in corso - ha fatto slittare la visita, senza per ora calendarizzare un’altra data. Cosa sta accadendo? Per tracciare un punto della situazione, abbiamo provato a compulsare alcune fonti dei ministeri di Interno e Difesa, che in questa fase stanno gestendo le procedure per la realizzazione e la gestione dei futuri centri, ricevendo off the record solo alcune parziali risposte.

Il Viminale: conclusa la procedura per la gestione. Com’è noto, sono due le strutture da realizzare, stando all’intesa del 6 novembre 2023, sottoscritta dai premier di Italia e Albania, Giorgia Meloni ed Edi Rama. Una dovrebbe nascere nel porto di Shengjin, l’altra a Gjader: sono state progettate per ospitare un massimo di 3mila migranti in contemporanea, per un totale annuo di 36 mila (se i tempi di esame delle richieste di asilo dureranno, come ipotizzato dal governo, 28 giorni). Nei giorni scorsi, al Sole 24 ore, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha assicurato che le procedure avviate dal Viminale per la loro gestione si sono concluse nei tempi previsti, il 6 maggio. Fonti dell’Interno fanno sapere ad Avvenire che la prefettura di Roma (incaricata di vagliare 30 istanze) ha individuato - «sulla base del criterio delle pregresse esperienze contrattuali maturate nello svolgimento di analoghi servizi» - tre operatori economici da invitare alla procedura negoziata: «Consorzio HERA, Officine Sociali e Medihospes». Ma solo una delle tre società, alla scadenza del 10 aprile, ha presentato una vera e propria offerta: la Medihospes , che ha offerto un ribasso del 4,94%, ottenendo l’aggiudicazione per un importo pari ad 133.789.967 euro più Iva. Si tratta di una cooperativa sociale con circa 3.500 dipendenti e 90 milioni di ricavi (dati 2021), cresciuta molto negli ultimi anni, fino ad arrivare a gestire a Roma quasi tutti i centri di accoglienza straordinaria, non senza qualche criticità, secondo alcune inchieste giornalistiche. In ogni caso, ad aprile è stato aggiudicato alla Medihospes l’affidamento dell’appalto per un periodo di 24 mesi, prorogabili per un massimo di ulteriori 24 mesi. «Si tratta dell’unica società che ha presentato un’offerta» ha ribadito il ministro al Sole 24 ore, ricordando che «l’aggiudicazione del bando è avvenuta solo all’esito dei controlli sul possesso dei requisiti di legge» e che tali controlli «saranno molto accurati anche nella fase di esecuzione».

Cantieri solo all’inizio. Ma, se sul fronte viminalizio la gara per l’assegnazione della gestione si è chiusa, altrettanto non può dirsi per la costruzione dei due centri. Interpellate ieri da Avvenire, diverse fonti della Difesa (a cui è stato affidato l’onere di realizzare le strutture), non hanno fornito valutazioni o elementi utili a ipotizzare una possibile tempistica o lescadenze di un eventuale cronoprogramma di realizzazione dei due centri, uno dei quali dovrebbe sorgere in un’area messa a disposizione dall’aeronautica albanese. C’è chi parla di ottobre o novembre come periodo per l’ultimazione delle opere. Ma fonti di un altro dicastero sostengono che il genio militare stia già “bonificando” le aree interessate e sia pronto a dare «un’accelerata forte».

I dubbi delle opposizioni. Da mesi, in Parlamento i partiti d’opposizione avanzano perplessità su costi e modalità dell’operazione: «A che punto è la realizzazione dei centri in Albania?» ha incalzato un mese fa Avs , ritenendo che alla fine il tutto costerà «oltre un miliardo di euro e non i 650 milioni preventivati in 5 anni» e sollecitando l’adozione di «provvedimenti, come la certificazione antimafia, per evitare che i cartelli della mafia albanese si aggiudichino parte delle attività».

I nodi giuridici. Se e quando le strutture verranno ultimate, resteranno da sciogliere i nodi sul piano del diritto e delle procedure. La competenza a pronunciarsi sui ricorsi dei migranti sarà del tribunale di Roma: udienze in video conferenza, così come i colloqui con gli avvocati, e scambio di documenti via Pec. Tuttavia, in Italia le commissioni per l’esame delle richieste d’asilo sono in forte carenza di organico e non è chiaro se ne verranno formate alcune ad hoc per i centri albanesi. In più, pende davanti alla Corte di Giustizia europea il giudizio di valutazione sulla questione della cauzione di 5mila euro (prevista dal decreto Cutro) per chi non voglia essere sottoposto al trattenimento amministrativo in attesa del vaglio della domanda. Una materia su cui il governo potrebbe intervenire con una norma chiarificatrice, messa a punto dai tecnici di Interno e Giustizia, prima che i centri aprano.

La scommessa di Meloni. Tasselli mancanti che non mettono in crisi la “visione” della premier: «Noi processiamo le richieste di asilo in territorio albanese sotto la giurisdizione italiana», ripete. La sua scommessa è chiara: come col Piano Mattei e col modello Tunisia,punta ad additare all’Ue nuovi strumenti per alleggerire la pressione migratoria. «La sinistra si è stracciata le vesti, alcuni giornalisti di parte sono andati a rincorrere i commissari europei chiedendo se non sia una violazione dello Stato di diritto» argomenta Meloni, ricordando invece che «15 Paesi su 27» hanno chiesto alla prossima Commissione di creare un meccanismo analogo. Insomma, conclude, «se l’accordo con l'Albania funziona può essere il nuovo modello di gestione dei migranti per l’intera Europa». Se funziona, appunto.

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