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Né dentro né fuori. L’eventuale pacchetto-natalità in manovra, al momento, è in un limbo. A tenerlo agganciato al convoglio delle priorità continua a essere soprattutto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «Il sostegno alla natalità - ha detto ancora ieri il titolare del Tesoro in una giornata in cui si è andata sfoltendo la lista delle aspettative - è una priorità che resta salda dall'insediamento del governo: lo scenario zero, ovvero non fare nulla, significherebbe andare diritti verso il disastro. Con i dati attuali sulle nascite non c'è futuro per il sistema previdenziale ma neanche per quello produttivo e anche in questo caso mettere chi vuole far figli in condizione di farlo è un imperativo morale ed economico».
Lo dice a una convention di Federmeccanica, Giorgetti, dunque non proprio dinanzi a una platea strettamente interessata alla misura. E tuttavia, però, a conferma di quel limbo, quando dal Consiglio dei ministri vengono fuori alcune note sul nuovo Piano strutturale di bilancio, la questione demografica ripiomba in un angolino, buona ultima dopo generici macrocapitoli come «competitività» e «crescita sostenibile».
Il punto è che le scelte sono davvero difficili. E non tutti i propositi saranno realizzati. Il Psb che ieri ha fatto il secondo e ultimo passaggio in Cdm, e che ora sbarcherà in Parlamento, conferma una linea «responsabile e prudente», con un progressivo calo del deficit, che scenderà sotto la soglia del 3% già nel 2026. E tanto per mettere le cose in chiaro, ieri il ministro dell’Economia, durante l’illustrazione in Cdm, ha ricordato che l’impatto del Superbonus si farà sentire ancora a lungo sul debito, che imboccherà il sentiero di discesa solo dal 2027.
Per stendere il menù della manovra manca ancora un mese. Il taglio del cuneo e la nuova Irpef restano i due pilastri inamovibili, mentre per completare il quadro delle risorse occorre condurre in porto la delicata trattativa avviata con le banche per il contributo “una tantum”. Il dialogo per un ipotetico contributo volontario o una soluzione sui pagamenti fiscali o le Dta (imposte differite attive) prosegue, anche se i tempi potrebbero essere più lunghi del previsto.
La prudenza che blocca tanti “sogni di gloria” proviene soprattutto dalla traiettoria del debito, che ieri è stata schiarita. A fine 2023 l'asticella viene fissata al 134,8% del Pil (133,6% senza le compensazioni dei bonus edilizi), meno del 137,3% stimato in precedenza. Ma come già indicato dal Def, il debito è destinato nei prossimi anni, soprattutto tra il 2024 e il 2026, ad essere «fortemente condizionato dall’impatto delle compensazioni d’imposta legate ai Superbonus edilizi», evidenzia il Mef. Solo dal 2027, quindi, inizierà un percorso di discesa in linea con le nuove regole europee che prevedono una riduzione in media di 1 punto percentuale di Pil dopo l'uscita dalla procedura di deficit.
Non ci saranno deroghe sulla strada della riduzione dell’indebitamento: si tratta di un «dovere morale» verso le giovani generazioni, ha detto Giorgetti a Federmeccanica. E non c’è dubbio che queste parole saranno ripetute di continuo sino al 18 ottobre, quando le agenzie di rating emetteranno il loro “giudizio”. Un clima positivo può contribuire a una stesura più serena della manovra.
Intanto va avanti il dossier privatizzazioni: sono stati individuati gli advisor per mettere sul mercato fino a un ulteriore 15% del capitale di Poste Italiane.