È cresciuta nell’indifferenza generale e, in appena quindici anni, è diventata più grande di Roma. La “città dei dispersi”, degli studenti espulsi dalla scuola, ha oggi più di tre milioni di abitanti e costituisce l’apice dell’emergenza educativa italiana. Un fenomeno che ci allontana ulteriormente dall’Europa che, nell’ambito della Strategia 2020, ha stabilito un tasso di abbandono scolastico inferiore al 10%. Obiettivo, al momento, irraggiungibile visto che, gli ultimi dati del Ministero dell’Istruzione, parlano di un tasso del 17,6%. In termini assoluti, significa che, lo scorso anno, altri 758mila giovani hanno abbandonato prematuramente gli studi. L’unico aspetto positivo è che erano 29mila in più nel 2011.Per conoscere meglio e contrastare un fenomeno, diffuso soprattutto al Sud e tra i figli degli immigrati (con numeri quasi doppi rispetto agli italiani), la Commissione Cultura della Camera ha avviato in questi giorni un’indagine conoscitiva, proponendo nuove strategie basate sulla prevenzione attraverso l’inclusione. Due sono gli aspetti evidenziati. Uno riguarda le ricadute socio-economiche della dispersione. Come messo in luce anche da un rapporto di Tuttoscuola, recentemente presentato in Parlamento, «uno studente disperso ha maggiori difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, è meno professionalizzabile e impiegabile, ha più probabilità di essere destinatario di costosi interventi assistenziali, è più esposto al lavoro sommerso e illegale».Nella stessa ricerca la dispersione viene inserita tra le cause principali dell’elevato numero dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, che ormai hanno superato i due milioni. «Non sarebbero così numerosi – si legge nel dossier di Tuttoscuola – se almeno una parte di essi avesse continuato a studiare o a seguire corsi di formazione professionale, come avviene in altri Paesi d’Europa». Ma c’è una seconda e altrettanto pesante conseguenza dell’abbandono scolastico, che grava sul futuro dei ragazzi che lasciano i percorsi di formazione. Ancora più rilevante dell’aspetto socio economico, rileva in proposito la Commissione Cultura della Camera, è quello legato «ai diritti di cittadinanza, che si acquisiscono attraverso l’istruzione e che vengono negati dall’intreccio tra disagio sociale e dispersione scolastica».Un tentativo di frenare il fenomeno è stato messo in campo dal Ministero dell’Istruzione, che a febbraio ha lanciato un bando da 15 milioni di euro. Risorse che saranno utilizzate per finanziare progetti di didattica integrativa e innovativa e per consentire l’apertura pomeridiana delle scuole, proprio in chiave anti-dipersione. A questo riguardo, la legge “L’istruzione riparte” prevede che le stesse scuole possano avvalersi della collaborazione delle associazioni di volontariato già attive nel campo dell’educazione tramite, per esempio, le attività di doposcuola.