«In un anno siamo scesi da 14mila a 8mila società affiliate». Il bollettino di guerra di Vittorio Bosio, presidente del Csi, non potrebbe essere più drammatico. Anspi e Noi Associazione, due tra le maggiori organizzazioni impegnate negli oratori, non se la passano meglio. Il Covid ha lasciato il segno anche sulle piccole realtà di volontariato cattoliche che da sempre mettono soldi e fatica al servizio dei più giovani, nel tentativo di garantir loro spazi e tempi dedicati a sport e tempo libero.
Lockdown e zone rosse hanno fatto inceppare un meccanismo già in cronica difficoltà per costi e oneri amministrativi assortiti, e che ora rischia di non riavviarsi. Proprio per evitare l’estinzione del dilettantismo, il consiglio nazionale del Csi ha da poco varato un ' recovery plan' di due milioni di euro. Serviranno a sostenere la ripresa delle attività quando le restrizioni sanitarie saranno alleggerite. «Ma siamo soli in questo sforzo – puntualizza Bosio – perché nessuno raccoglie il nostro grido d’aiuto. Non la politica, sempre pronta a correre in aiuto dello sport di vertice. Per lo sport di base, invece, non ci sono mai soluzioni. Un errore, perché i campioni non crescono sulle piante, semmai nei campetti di periferia, dove le piccole società fanno da collante sociale. Sembra però che a nessuno interessi la sorte di milioni di ragazzini privati non solo della scuola, ma anche del calcio e della pallavolo. Stiamo organizzando la ripartenza in sicurezza, ma mancano le risorse economiche e umane. Quando ho sentito parlare di defiscalizzazione mi è venuto da sorridere.
Vittorio Bosio - .
Le nostre società fatturano al massimo 30mila euro l’anno. Non vogliamo metterci fuori dai ministeri con il cappello in mano, chiediamo semmai una doverosa attenzione». In termini pratici, sostegno finanziario ma non solo. «Servono finanziamenti a fondo perduto, ma anche e soprattutto un regime agevolato, che consenta di operare in tranquillità dal punto di vista giuridico e burocratico. Oggi per gestire una società ci vogliono non uno, ma due commercialisti. Non è più possibile andare avanti così. Tutto il nostro sistema si basa sui volontari, a cui continuiamo a chiedere sacrifici per stare al passo con gli obblighi di legge. Ma la stanchezza è tanta, molti si demoralizzano e si fermano».
Nel momento più delicato, il Csi rischia di trovarsi senza forze. «Quando riprenderemo in pieno le attività bisognerà fare l’appello, chiedersi chi manca e perché. Se per paura, o perché preferisce restare sul divano. O perché magari non può più permettersi un paio di scarpette. Se ci ispiriamo a valori cristiani, non possiamo far finta di non vedere. Occorre intervenire, perché altrimenti finirà co- me in alcune zone del Sud, dove ci sono poche super società che fanno giocare solo chi paga 600 euro di iscrizione. Ma così i poveri restano indietro: per loro non resterà nemmeno un pallone».
Bosio (Csi): soli in questo sforzo, perché il nostro grido non viene raccolto. Sembra che non interessi la sorte di milioni di ragazzini privati anche di calcio e pallavolo Un campetto dell’oratorio rimasto deserto, ai tempi del Covid Vittorio Bosio
Tempi duri anche per l’Anspi, che in pochi mesi ha perso il 20% dei tesserati. Un’emorragia che preoccupa non poco il presidente Giuseppe Dessì. «Siamo passati da 270 a 220mila: ciò significa che molte meno persone frequentano le nostre attività in oratorio. Colpa della paura, che ormai si sta accompagnando a una buona dose di negatività. La nostra azione si basa sulle relazioni umane, nel momento in cui vengono minate tutto si complica». L’Anspi tuttavia non si è mai fermata. «In estate abbiamo portato il nostro progetto in 300 oratori e non abbiamo registrato nemmeno un caso di positività. Abbiamo sempre seguito tutte le precauzioni e i risultati si sono visti. I genitori e i parroci si possono fidare di noi».
Anche perché l’associazione ha saputo aprire nuove strade. «Il calo dei tesseramenti ha tolto 500mila euro al bilancio. Abbiamo rimediato attingendo ai fondi messi a disposizione dal ministero delle politiche sociali e dalla fondazione Unicredit, che ci hanno permesso di sviluppare sia gli interventi in presenza che quelli relativi alla formazione online. L’entusiasmo insomma rimane intatto, ma da solo non basta». Servirebbe un compagno di viaggio che invece spesso segue altre strade. «La politica finora è la grande assente. Manca un interlocutore credibile con cui potersi confrontare. Spesso anche all’interno dello stesso governo ci sono voci contrastanti. E tutto è maledettamente complicato, non solo per quanto riguarda la normativa ma anche per la sua interpretazione. Ci sono sempre più dubbi che certezze.
Per fortuna io sono avvocato, ma si figuri le difficoltà che può trovare un profano». Preoccupazioni anche per Noi Associazione, che si è trovata a interrompere bruscamente ogni attività negli oratori e nei circoli associati. «Le iscrizioni si sono azzerate: le strutture chiuse ci obbligano a stare fermi. Ci stiamo muovendo sulle piattaforme online, ma è un surrogato – sospira il presidente, don Damiano Vianello –. Vivendo di quote di partecipazione, siamo in difficoltà: abbiamo dovuto attingere alle riserve accantonate negli anni passati. In più, la pandemia ha coinciso con la riforma del Terzo settore: ciò ha comportato ulteriori problematiche da affrontare. Inevitabile sentirsi confusi. Speriamo che presto la situazione migliori, perché i nostri ragazzi sentono il bisogno di ripartire. Ho l’impressione che ci sarà più lavoro di prima.
Un anno di didattica a distanza ha lasciato voragini educative: si è persa la capacità di apprendere e di studiare». Per questo ci sarà la necessità di «porsi in modo aggiornato, sfruttando anche la creatività che i nostri giovani hanno dimostrato in questi mesi sul web. Siamo pronti a dare una mano ai ragazzi e alle loro famiglie».