Il Tribunale di Milano in una foto dell'archivio Ansa
Le motivazioni della sentenza a carico di don Mauro Galli – condannato a 6 anni e 4 mesi per violenza sessuale nei confronti di un minore – evidenziano in modo netto la totale estraneità alla vicenda della Curia di Milano, che mai nel suo operare ha avuto comportamenti di protezione nei confronti del sacerdote.
Infatti, nelle 21 pagine depositate in cancelleria al Tribunale di Milano dal presidente del collegio giudicante Ambrogio Moccia di queste accuse nei confronti dell’arcivescovo Mario Delpini – a suo tempo vicario episcopale e incaricato di far luce su quanto successo – non vi è traccia. In una postilla a pagina 18 – quindi a margine dell’intero documento in cui si illustrano le motivazioni per le quali Mauro Galli è condannato – i giudici (oltre a Moccia, anche Maria Giulia Messina e Vincenza Papagno) spiegano come il procedimento penale sia stato «disturbato» da un clima di «anticlericalismo tematico» che «è parso materializzarsi nell’intorno del processo».
Un clima che, secondo il collegio giudicante, «non sembra trovare nell’attualità alcuna legittimazione storica», visto «l’atteggiamento da tolleranza zero della massima impersonificazione della Chiesa militante, cioè il Papa, verso i casi accertati di pedofilia».
Sempre in quella lunga postilla, i giudici chiariscono anche un altro aspetto: «Il fatto che il comportamento delle Autorità ecclesiastiche milanesi non ha suscitato nel pubblico ministero alcun impulso ad esercitare l’azione penale».
E quindi non sono state trovate nella condotta di allora della Curia (che appena apprese di contatti, poi negli anni successivi diventati prima molestie e poi violenze, tra don Galli e un giovane, lo spostò di parrocchia) delle anomalie e alcuna protezione nei confronti del sacerdote.