giovedì 28 agosto 2014
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«Sarei profondamente deluso se, in tempi di spending review e di sacrifici, l’unica proposta concreta che uscisse dal governo fosse quella di un’enorme infornata di precari, assunti in blocco, senza guardare al merito'. Il giudizio di Corrado Passera, ex numero uno di Poste, ex banchiere, ex ministro e oggi leader del movimento 'Italia Unica', è molto severo sulle anticipazioni in materia scolastica del governo. «Una serie di annunci vaghi e generici – spiega Passera – e una trovata elettoralistica dispendiosa, quella della maxi-assunzione di precari, che riporta alla mente vecchissime pratiche politiche. Manca completamente per ora un progetto di scuola e di società. E per risolvere il problema dei supplenti ci sono meccanismi alternativi molto più efficaci». È una bocciatura secca. Mi auguro che le cose che ho letto sui giornali non siano vere. La situazione della formazione in Italia è in uno stato comatoso. Abbiamo tra le più alte percentuali di abbandono scolastico di tutta Europa, i docenti demotivati perché il merito non conta, i giovani che non trovano lavoro, il più alto tasso di bambini obesi – perché nelle nostre scuole non si fa quasi per nulla educazione fisica e alimentare– i nostri giovani escono dalle scuole senza sapere l’inglese e pensiamo di risolvere tutto con un’infornata di precari? Sono sconcertato... Lei che farebbe? 'Italia Unica' considera la scuola e l’università la priorità principale del Paese: non solo perché dalla scuola dipende il lavoro, ma perché dalla scuola dipende anche la qualità della democrazia di un Paese. Abbiamo elaborato una serie di proposte che offriamo come contributo al dibattito. Tanto per cominciare, c’è da rendere un biennio di scuola materna disponibile per tutti. I bambini di oggi sono precocissimi, non si può aspettare la prima elementare per cominciare il processo formativo, lo studio delle lingue, ecc. Di contro, bisognerebbe cominciare a ragionare sulla diminuzione della durata scolastica: 12 anni invece che 13, come succede in molti Paesi europei, usando i risparmi di un anno in meno per potenziare l’offerta formativa, per portare tutti al diploma. Poi bisogna rendere davvero effettiva l’autonomia scolastica. Ai singoli istituti deve essere lasciata, almeno in parte, la facoltà di scegliersi i docenti: cominciamo dai supplenti. Dobbiamo formare i presidi: devono essere messi in condizione di essere maggiormente responsabili della qualità dell’offerta formativa del loro istituto. I test di valutazione delle scuole devono essere resi pubblici e consultabili. Un capitolo a parte riguarda l’introduzione del merito: oggi i professori fanno carriera solo per l’anzianità. E questo è un premio per chi non fa nulla e una frustrazione per chi è animato da voglia di fare, di aggiornarsi, di studiare. Proponete anche l’effettiva equiparazione tra scuole statali e non statali? È un punto qualificante. I genitori devono poter liberamente scegliere la scuola per i propri figli tra varie offerte formative in concorrenza virtuosa tra loro. Proponiamo per esempio di alzare la notax area  a 8mila euro l’anno per ogni figlio a carico e, per le fasce meno abbienti, si possono valutare le migliori esperienze già realizzate di bonus scuola. Cos’è che non funziona nel rapporto tra scuola e lavoro? La formazione professionale è tutta da rivedere. I ragazzi fanno corsi di studio che non servono, le aziende che vorrebbero assumere non trovano i profili professionali adeguati. La riforma della formazione tecnico-professionale ha permesso a Paesi coma Germania, Francia, Austria e Svizzera di abbattere il tasso di disoccupazione giovanile. I quadri delle aziende piccole e medie di quelle nazioni vengono dalla formazione tecnica che ha raggiunto anche il livello terziario, quello post diploma. Servono tanti istituti tecnici superiori di qualità e inseriti nel loro contesto imprenditoriale. La carne al fuoco è tanta... Sì, perché dalla scuola e dall’università dipende il futuro del Paese. Per questo chiediamo un dibattito ampio e approfondito, con decisioni efficaci e innovative, e non misure dispendiose e dannose con l’occhio rivolto solo ai consensi elettorali.
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