sabato 23 febbraio 2019
Con il nuovo bando, penalizzato (anche in termini economici) il sistema più virtuoso, quello degli appartamenti e dei piccoli spazi. Il 75% dei posti destinati ai grandi centri collettivi
La buona accoglienza avrà solo 200 posti
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Più grandi centri per immigrati e meno accoglienza diffusa, quella virtuosa. Quasi destinata a sparire. È quello che accadrà a Roma, dopo il nuovo bando della Prefettura della Capitale che applica le nuove indicazioni del Viminale. Eppure lo scorso 31 gennaio il ministro dell’Interno Salvini, in occasione dell’inizio dello sgombero del Cara di Mineo, aveva affermato con orgoglio: «Avevamo promesso la chiusura dei grossi centri e lo stiamo facendo». Ma a Roma i numeri dicono proprio il contrario. La prefettura ha, infatti, messo a bando 3.970 posti di accoglienza. Di questi solo 200, il 5%, saranno in accoglienza diffusa in appartamenti, altri 800, il 20%, sono in centri collettivi fino a 50 posti, mentre la parte del leone la fanno i centri collettivi da 51 a 300 posti che avranno 2.970 posti, pari al 75% del totale. Una scelta che applica alla lettera il decreto ministeriale del 20 novembre riguardante i famosi tagli dei 35 euro al giorno di finanziamento ai centri, riducendo beni e servizi per il loro funzionamento. Un’impostazione che favorisce i centri di grandi dimensioni, anche in termini economici. Così, sempre secondo il bando, i centri ad accoglienza diffusa riceveranno 21,35 euro al giorno a persona, quelli collettivi fino a 50 posti ne avranno 26,35, quelli fino a 300 posti 25,25. Un taglio rispettivamente di 13,65 euro, 8,65 e 9,75. Si penalizzano, dunque, i centri che operano meglio, quelli che fanno davvero integrazione, come dimostrato anche da un recente dossier della Caritas di Roma, e che coinvolgono anche parrocchie e ordini religiosi.

L’idea, sbagliata, che c’è dietro alle scelte del Viminale, applicate dalla Prefettura romana, è che l’accoglienza diffusa costi di meno. Ad esempio perché le persone cucinano da sole. Ma non tiene in conto che il costo degli affitti e delle utenze è proporzionalmente più alto (più appartamenti invece di un unico grande centro) o che un operatore in una struttura collettiva fa il giro delle stanze in pochi minuti, invece nell’accoglienza diffusa deve fare il giro di dieci appartamenti. Nella logica ministeriale gli immigrati devono stare per conto loro nell’appartamento e ogni tanto andare in un ufficio per risolvere i problemi. Ma in realtà l’accoglienza diffusa è più difficile e più costosa. Invece i grandi centri riceveranno di più e spenderanno di meno, grazie ai tagli dei servizi. Secondo un’analisi degli esperti della cooperativa InMigrazione, nel precedente bando del 2018 le ore giornaliere del personale da garantire per utente accolto, era 0,74 per centri piccoli e medi e 0,67 per quelli grandi. Col nuovo bando si scende a 0,36 per piccoli e medi e a 0,17 per quelli grandi. Un evidente calo della qualità dell’accoglienza, anche se sempre Salvini aveva detto «sono orgoglioso del nostro lavoro per offrire servizi migliori ai veri profughi e per stroncare l’illegalità». Ma l’illegalità, come emerso da moltissime inchieste, da 'mafia capitale' in poi, riguarda soprattutto le grandi strutture.

Ma proprio queste perderanno meno delle altre. Infatti col taglio dei servizi, i centri piccoli e medi risparmieranno 4,94 euro al giorno pro capite, mentre quelli grandi 6,50. Alla fine la perdita, rispetto al bando del 2018 a 35 euro, sarà di 8,71 euro per i centri piccoli ad accoglienza diffusa, 3,71 per quelli medi e di 3,25 per quelli grandi. Quest’ultima cifra può essere tranquillamente tamponata dalle economie di scala garantite dai grandi numeri: è evidente che con 300 utenti è possibile ottenere un prezzo vantaggioso da un catering che fornisce pasti rispetto a 20 utenti. A questo punto molti piccoli gestori rinunceranno a partecipare alla gara, soprattutto chi non vuole risparmiare sulla pelle degli immigrati. E si faranno avanti gli affaristi che li metteranno negli appartamenti dicendo «fate quello che vi pare, basta che non date fastidio ai vicini», col rischio che si creino situazioni pericolose.

Si spiega così, molto probabilmente, la scelta della prefettura di Roma di limitare appena al 5% l’accoglienza diffusa. Devono coprire 4mila posti ma, conoscendo bene la realtà cittadina, sanno che con questi tagli, si corre il rischio di avere poche risposta per l’accoglienza diffusa. Così riduce il numero ad appena 200 posti. E Roma potrebbe fare presto scuola. Con tanti saluti alla buona accoglienza.

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