martedì 29 gennaio 2019
Don Stefano e Don Paolo rispondono con i fatti: ospitano alcuni richiedenti protezione internazionale in canonica
Migranti durante uno sgombero (Ansa)

Migranti durante uno sgombero (Ansa)

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«Non si possono creare nuovi irregolari, pensando che sia una soluzione al 'problema' dell’immigrazione». Don Stefano Culiersi e don Paolo Dall’Olio, giovani parroci bolognesi, non hanno la presunzione di aver trovato la ricetta per risolvere il 'problema', ma senz’altro sanno cosa non si deve fare. «Non si può fare speculazione ideologica e politica sulle persone». Anche perché, adesso, questo 'problema', per loro, ha un volto, un nome, ed è quello dei ragazzi che ospitano. Agli slogan «i preti che predicano l’accoglienza, perché non li prendono a casa loro?» don Stefano e don Paolo rispondono con i fatti: ospitano alcuni richiedenti protezione internazionale in canonica. Non sono gli unici ad aver raccolto l’appello di papa Francesco, a cui le Caritas diocesane hanno cercato di dare seguito tramite il progetto 'Pro-tetto: rifugiato a casa mia', ma loro hanno fatto di più: hanno accolto questi ragazzi letteralmente in casa loro.

Non ritengono di avere fatto nulla di speciale i due sacerdoti ma, adesso, non riescono a nascondere la preoccupazione per quello che accadrà, venendo meno la possibilità di attuare l’accoglienza diffusa permessa dal sistema Sprar che, a Bologna, ha prodotto ottimi risultati in termini di integrazione. «I primi a pormi la questione della 'obiezione civile' sono stati gli adolescenti del gruppo giovani» racconta don Stefano, parroco di Santa Maria Annunziata di Fossolo. «Organizzando un viaggio ad Auschwitz, si è posto il problema dell’obbedienza alle leggi, anche se riconosciute ingiuste, così mi hanno chiesto cosa avrei fatto al posto di Mimmo Lucano, attualizzando la questione. Ho risposto che è giusto agire secondo coscienza, ma che, poi, bisogna essere pronti a subirne le conseguenze». Ad oggi, in canonica hanno trovato posto 4 ragazzi africani. «Noi siamo stati aiutati da una situazione logistica che lo consentiva, ma vari parroci, in città, hanno trovato altre soluzioni, affittando appartamenti, coinvolgendo le famiglie». A Bologna, sono infatti 23 le parrocchie ospitanti. «Lo scopo è fare integrazione sociale – aggiunge don Stefano – e funziona, perché si creano reti di supporto, non si distribuiscono etichette, non si strumentalizza la carità: questa mi sembra l’unica risposta efficace alla questione migratoria, molto concretamente». Don Paolo, parroco al Farneto, ha lasciato la canonica a un gruppo di richiedenti asilo. «Per me bastava anche uno spazio più ridotto, all’interno delle opere parrocchiali » spiega. «Dopo questa esperienza, l’immigrazione, per me, non è più un concetto astratto, ma ha un nome e un cognome, quello dei 12 ragazzi ospitati sinora» racconta. «Se sono preoccupato per il futuro, dopo questi stravolgimenti del sistema di accoglienza? Sì, perché qui a Bologna funzionava bene. Se non potremo più proseguire il progetto verrà meno il legittimo diritto di ospitare una persona in difficoltà, per chi voglia farlo» conclude.

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