sabato 2 agosto 2014
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«Fare le riforme in un momento in cui non solo l’Italia ma tutta la zona euro cresce meno di quanto si era ipotizzato, è molto più complesso. Ma, proprio per questo, è ancor più necessario farle, a partire dalla riforma del Senato che resta fondamentale...». Il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi è in viaggio verso Sud e la sua voce va e viene attraverso la cornetta, ma il messaggio è chiaro: l’Italia insiste sulla «nomina del ministro Federica Mogherini come Alto rappresentante per la politica estera » e incalzerà la Commissione europea «sul piano d’investimenti miliardario annunciato da Jean-Claude Juncker». Ma, al contempo, «se vuole davvero consolidare il processo di cambiamento, dovrà accelerare sul cammino delle riforme istituzionali». Perché, sottosegretario Gozi? Per essere all’altezza delle sfide. Col bicameralismo paritario, per varare una legge occorrono anche 2 anni, con la riforma del Senato il meccanismo sarà rapido ed efficiente, per non offrire occasioni di alibi o pregiudizi a Bruxelles o ad alcune cancellerie europee critiche sulla lentezza del nostro processo di formazione delle leggi... Intravede altri segnali per favorire un buon avvio del semestre italiano? Uno l’abbiamo dato nell’ultimo Cdm, varando norme e decreti amministrativi che hanno sfoltito le procedure d’infrazione europea a nostro carico: da 120 sono scese a 101 e presto le faremo scendere ancora, avvicinandole alla media dei Paesi Ue con composizione regionale simile alla nostra, che ne hanno un’ottantina a testa. Se pensa che una sola di quelle infrazioni, comminata alla Sicilia in materia di depuratori e ora risolta, sarebbe potuta costare una sanzione di centinaia di milioni di euro, capisce quanto sia importante. Le prospettive economiche per l’autunno non sono rosee. Vuol dire che l’Italia tornerà 'osservata speciale' di Bruxelles? Assolutamente no. Ma proprio adesso, e in autunno, il percorso riformista richiede maggior determinazione: pubblica amministrazione, mercato del lavoro, giustizia... Sul piano europeo, intanto, un primo risultato lo abbiamo già ottenuto. Quale? L’impegno del presidente Juncker sul nuovo piano d’investimenti pubblicoprivato, con un plafond per 300 miliardi di euro. Ogni volta che lo incontreremo, gli domanderemo: a che punto siamo? E ci aspettiamo dalla Commissione un’applicazione delle regole delle politiche europee più favorevole alla crescita... In quale senso? Nel momento in cui alcuni Paesi, come l’Italia, fanno riforme strutturali che costano nell’immediato ma che nel medio periodo avranno un impatto positivo sulla crescita, confidiamo che quell’aumento della spesa sia valutato con favore... Può fare un esempio? Nella vicenda dei debiti della P.a. il governo sta facendo qualcosa che costa all’Italia, mettendo a disposizione 56 miliardi di euro per pagare le imprese. Ciò comporterà un leggero innalzamento del debito pubblico, ma è il modo corretto di declinare la flessibilità: fare qualcosa che abbia un impatto concreto sulla crescita, concordandolo con la Ue. È l’Europa dei fatti, contrapposta a quella delle parole, e sulla quale abbiamo appena saldato un asse con Francia e Germania, con un patto scritto a Berlino. Cosa c’è in quel patto? Il tentativo di infrangere il muro dell’ipocrisia, dei proclami formali senza seguito. È il patto dei fatti, con obiettivi concreti sulla flessibilità, nella lotta alla disoccupazione giovanile o sui fenomeni migratori. Bisogna uscire da vecchie logiche di un’Europa degli sherpa e delle troike, così come dalle derive tecnocratiche che hanno dato linfa a pericolosi populismi, e tornare a un’Europa della politica. Nel frattempo, ottenere che Frontex si faccia carico dei costi di Mare nostrum è una battaglia persa? No, non lo è. Nell’immediato dobbiamo ottenere un aumento dei fondi di Frontex e che altri Paesi collaborino in mare. La prossima settimana dovrebbe farlo Malta e stiamo dialogando con la Francia. In futuro, abbiamo concordato con i miei omologhi francese e tedesco, bisognerà creare un corpo unico delle guardie di frontiera europee... Veniamo all’altro motivo di frizione con alcuni Stati del Nord ed Est Europa. Il premier conferma la candidatura del ministro Mogherini al ruolo di «Mrs Pesc». Qualcuno, all’estero, parla di 'ostinazione' italiana. È così? Nessuna ostinazione. Ci sono motivi politici di fondo che supportano la candidatura Mogherini. E il Pse – e al suo interno il Pd, che è il partito che ha preso più voti alle ultime Europee – ha tutti i titoli per rivendicare quel ruolo... Può ricordarceli? Sono ragioni politiche e di genere, ma anche attinenti al rispetto, non scritto ma essenziale, dei corretti equilibri geografici e culturali nella composizione della Commissione. Mi spiego: a un presidente come Juncker, uomo del Centro- nord Europa e proveniente dal Ppe – che non sarebbe stato eletto senza i nostri voti – può e deve corrispondere come vice presidente e Alto rappresentante per l’estero una donna progressista del Pse proveniente dall’Europa del Sud... Argomentazioni, immagino, già usate nel Consiglio europeo di luglio, senza risultare decisive. Perché ora dovrebbero esserlo? Intanto, secondo prassi l’Alto rappresentante andava nominato a maggioranza qualificata dai capi di Stato e di governo, prima del resto della Commissione. Sappiamo però com’è andata. Il presidente Juncker sta seguendo una procedura inedita, certo non quella che avevamo auspicato, ma resta il fatto che gli equilibri di cui sopra vadano rispettati. Non è una decisione unilaterale nostra: il premier Renzi ne ha discusso ampiamente all’interno del Pse. Tra l’altro, quando si parla di candidati maschili a quel ruolo, è bene non dimenticare il rapporto uomini-donne: il Parlamento europeo è stato esplicito, se su 28 commissari non ce ne saranno almeno 9-10 di sesso femmini-le, non darà parere favorevole.  Contro la candidatura Mogherini circola l’argomento di chi sostiene che l’Italia sia 'vicina' alla Russia... È infondato. L’Italia ha attivamente contribuito a tutte le posizioni che la Ue ha adottato, sanzioni comprese, sulla crisi in Ucraina. E se, nonostante tutte le buone ragioni italiane, la candidatura non dovesse avere successo? Il governo ha un piano B? Circola il nome di Massimo D’Alema... (Sandro Gozi fa una pausa, pare quasi di sentirlo sorridere in mezzo allo sferragliare del treno...). Fantasie giornalistiche. Glielo posso assicurare, non c’è alcun piano B...
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