mercoledì 9 settembre 2015
L'ultima offerta di Renzi: concordare nei due gruppi parlamentari le modifiche "minori" al testo: «Pochi giorni per un compromesso. Ma l'art. 2 non si tocca». Bersani: no a disciplina di partito.
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È una questione di «lealtà», non di «disciplina». Di «responsabilità di fronte a un Paese che sta ripartendo ». Matteo Renzi non cede sulla non elettività del Senato, ma rifiuta il «muro contro muro» alla vigilia delle votazioni sulla riforma della Costituzione. Niente «barricate» a Palazzo Madama. Il premier-segretario ha già parlato alla base domenica. Ai telespettatori, poi, lunedì dal salotto di Porta a Porta.  Ma quando si presenta all’incontro con il gruppo del Pd, dove resta lo zoccolo duro del suo partito, formato da quei 25 o 28 senatori pronti a votare contro la sua riforma, – e potenzialmente decisivi per la vita stessa del suo esecutivo – il clima è teso. Le parole nette di Pier Luigi Bersani in mattinata, che respinge al mittente le soluzioni che circolano e parla di libertà di coscienza, non lasciano presagire nulla di buono. Renzi, però, vorrebbe svelenire l’atmosfera, pur non cedendo sulle scelte irrinunciabili. «Non vogliamo un muro contro muro, i toni di questi giorni sui giornali sono profondamente esasperati. Non diciamo prendere o lasciare ma proprio perché è la Costituzione, non hanno senso le barricate», dice conciliante il leader democratico. Le aperture, però, sono solo nei modi. «Faccio una proposta: le modifiche alla riforma devono essere concordate anche con i deputati del Pd. Non vorrei che una parte del partito dica una cosa alla Camera e un’altra al Senato. Mi pare una cosa di buonsenso». Per essere più convincente, poi, concede «gli ultimi giorni per favorire una soluzione» anche con gli altri partiti.  Parole rassicuranti ma sempre all’interno di un percorso già scritto. «Non si può cambiare l’articolo 2 perché si dovrebbe ripartire daccapo. E poi, se è una Camera delle autonomie, siano le autonomie a decidere», ragiona davanti alla platea dei senatori al gran completo (mancano Chiti e pochi altri giustificati). Nel merito, la questione della discordia viene ridotta dal leader pd. «Il problema della composizione del Senato è un problema piccolino, quello delle funzioni è un problema grosso». Ma, aggiunge, «non si può mettere in discussione la doppia lettura conforme» sull’articolo 2. Un principio che dovrebbe valere sempre, insiste.  Insomma, «la grande parte dell’impianto di cui stiamo discutendo è profondamente condiviso. Avvertiamo la responsabilità di superare finalmente il bicameralismo paritario», secondo Renzi, che rispolvera i faldoni del programma dell’Ulivo e torna ancora più indietro nel tempo, a dimostrazione ulteriore che «non è in discussione la democrazia ». Perché «quello che stiamo proponendo sul Senato è la versione soft di ciò che per 70 anni la sinistra ha proposto », era «la tesi numero 4 del programma dell’Ulivo». Questo «è un dato di fatto che vorrei fosse scolpito tra di noi. Il tentativo fatto dal governo Letta di superare il bicameralismo è fallito per i noti motivi: noi abbiamo scelto una via diversa».  Le riforme stanno producendo frutti. «La tranquillità in Italia sta tornando ed è merito anche nostro. Per un anno c’è chi ha scommesso sul disfattismo: ora devono riposizionarsi». Renzi rispolvera gli argomenti del dopo-vacanze, rimettendoli in sequenza, a dimostrazione della sua tesi. L’agenda si regge solo se si va avanti per tappe. Tra queste le unioni civili, care proprio a quanti si oppongono alla riforma del Senato, che andranno in aula – ricorda - solo dopo l’approvazione della revisione della Costituzione. Un richiamo alla responsabilità. L’ennesimo. Mentre si attende la risposta della sinistra dem. O almeno qualche scricchiolamento, rispetto alla linea dura di Bersani. L’ex segretario da parte sua aveva rispolverato in mattinata tutte le sue critiche alle scelte renziane. Ma, replica il premier tra le altre cose, «c’è cosa più di sinistra che stabilizzare il lavoro precario come fa il Jobs act?». Anche il suo predecessore in largo del Nazareno, comunque, non vuole arrivare alla spaccatura. E almeno per ora non si prevedono scenari alla Civati. Se non si tratta ancora, almeno si riflette.
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