Il governo Meloni incontra le opposizioni - ANSA
No, con alcuni distinguo, da M5s, Avs e Pd; sì, con riserva, dall’ex Terzo polo; “ni” da Più Europa. E in ogni caso la figura del presidente della Repubblica non si tocca.
Esito scontato per l’atteso confronto tra la premier e le opposizioni in vista delle riforme costituzionali, che in sostanza conferma le intenzioni rappresentate dalle parti in causa nei giorni scorsi. La premessa, ribadita ieri da Giorgia Meloni poco prima di inaugurare il tavolo, resta l’indisponibilità a tollerare eventuali “Aventini”, assieme alla volontà di andare avanti anche senza il centrosinistra. Il capo dell’esecutivo lo ripete anche al termine dell’ultimo incontro di giornata, quello col Pd, chiarendo alla segretaria Elly Schlein che la sua è «una maggioranza solida», tra le poche «che possono cercare di trasformare» il sistema attuale «in un orizzonte temporale del governo in carica». Questa riforma, precisa, «non la facciamo per noi» e l’attenzione alla questione dei «contrappesi» da parte di Palazzo Chigi resta alta. Niente «accentramenti», insomma, ma «la stabilità» e la necessità di «rispettare il voto dei cittadini» sono «irrinunciabili». La speranza è che «il dialogo con le opposizioni vada avanti» e che ci sia «la più ampia condivisione possibile». Ma la strada è tracciata e punta dritta verso l’elezione diretta del presidente del Consiglio (su cui «c’è più disponibilità») e l’autonomia, perché le due riforme «si tengono insieme» e fanno parte di «un unico pacchetto» (in cui è concepita anche l’armonizzazione con l’amministrazione delle regioni e i tempi delle cariche dei governatori).
Il primo a incontrare il capo dell’esecutivo è il leader pentastellato, Giuseppe Conte, che entra a Palazzo Chigi verso le 12,30. A lui la presidente del Consiglio pone l'esigenza di favorire la stabilità degli esecutivi, primo obiettivo delle riforme immaginate dalla maggioranza. «Un problema di cui siamo assolutamente consapevoli», concede il presidente grillino, così come quello di «garantire al Parlamento un percorso più funzionale». Il tema, però «è che non è venuta fuori una condivisione della soluzione». In ogni caso, se il processo dovesse concretizzarsi, l’opzione preferita dai 5 stelle per il metodo sarebbe quella di una bicamerale. Una possibilità che Meloni è disposta a «valutare» purché, fa sapere, non ci siano dilazioni.
L’ex Terzo polo incontra il governo diviso, con Boschi a rappresentare Italia Viva e Carlo Calenda con il suo braccio destro, Matteo Richetti, per Azione. La musica cambia nettamente, ma non per quella che l’ex ministro dello Sviluppo definisce un’assoluta linea rossa: «La figura di garanzia del presidente della Repubblica non si tocca». A parte questo, c’è ampio spazio di dialogo sul premierato: «Siamo favorevoli alla sua indicazione sul modello del sindaco d’Italia», dice il leader di Azione. Anche se, aggiunge Boschi, «una riforma della forma di governo non può essere separata dal superamento del bicameralismo». Ma su un punto emerge una divisione fra le due “parti”: a nome di Iv Boschi boccia «la necessità di un coordinamento con le opposizioni, tantomeno con i 5 stelle», indicata poco prima da Calenda.
Più Europa, con Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova, mostra aperture all’attribuzione di maggior poteri al presidente del Consiglio, ma senza l’elezione diretta e sul modello tedesco. Nessun varco si apre invece nel fronte dell’alleanza Verdi-Si, rappresentata da Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, che anzi annuncia una «dura battaglia» contro il premierato e per la difesa del capo dello Stato.
Infine i dem, che con Schlein, partono dal presupposto che queste riforme non siano una priorità e concedono un’unica apertura: la sfiducia costruttiva. «Eviterebbe crisi al buio», spiega la segretaria, aggiungendo di aver posto «la necessità di limitare la decretazione d'urgenza per far lavorare meglio Camera e Senato» e la questione dello stop alle liste bloccate. Per il resto, e nonostante «il confronto in un clima franco e sul merito», resta il no secco a «un uomo solo al comando», e quindi all’elezione diretta e al sindaco d’Italia, ma anche a «forzature su Autonomia e enti locali». Se ci sarà o meno un punto di caduta «dipenderà dal governo», ma in ogni caso, «non ci presteremo all’indebolimento dei pesi e contrappesi previsti dalla Costituzione». A questo punto, vista anche la telefonata di Conte a Schlein al termine dell’incontro del M5s, chissà se il capitolo riforme non sia in grado di rinsaldare il fronte progressista.