Castelsantangelo sul Nera, nell'Alto Maceratese, dopo le scosse di terremoto dell'ottobre 2016
Rappresentano una manciata di abitanti sparsi sulle montagne e lottano per non far cancellare il borgo che amministrano dalla cartina geografica. I sindaci dei piccoli Comuni terremotati della fascia appenninica temono che, a cinque anni dal sisma, i tempi della ricostruzione si allunghino ulteriormente, nonostante i piani approvati, i finanziamenti concessi e le promesse di governo e Regione. Molti cantieri sono ancora fermi.
Imprese e operai scarseggiano e i prezzi dei materiali edili (ferro, legno e laterizi) rincarano per effetto della corsa al Superbonus 110% per l’efficientamento energetico degli edifici. Il commissario straordinario Giovanni Legnini parla di sei-sette anni per portare a termine i lavori nei 140 centri del “cratere” che si estende tra le aree interne di Marche, Umbria, Lazio e Abruzzi, flagellate dalle scosse del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre del 2016 con epicentri rispettivamente ad Accumoli, Amatrice, Castelsantangelo sul Nera e Norcia. «Sei anni per la ricostruzione? Io ci metterei la firma» commenta Gian Luigi Spiganti Maurizi, sindaco di Visso, mille abitanti che prima del disastro, d’estate diventavano diecimila: soggiornavano qui per godere il fresco tra i boschi sotto le montagne e gustare pane, salumi e formaggi dop. «Il centro storico del paese, la “perla dei Sibillini”, con una delle più belle piazze d’Italia, la duecentesca Collegiata e il museo dei manoscritti leopardiani – spiega – è quasi del tutto distrutto ma gli edifici ancora in piedi sono vincolati dalla Sovrintendenza ai beni culturali e questo rallenta i tempi dei lavori di ristrutturazione. Poi, con la pandemia le ditte si sono fermate e adesso i prezzi dei materiali salgono: dei 200 progetti approvati, solo il 30% è partito ma alcune famiglie sono rientrate nelle loro case».
«Il sistema burocratico è complesso e nella maggior parte dei casi bisogna rifare tutto e non è per niente facile: misurare le perimetrazioni delle proprietà e tirare sù le mura dei nuovi edifici ma anche realizzare gli allacci e quello che serve nel sottosuolo, rete fognaria, acquedotti, linee telefoniche» spiega Mauro Falcucci, sindaco di Castelsantangelo sul Nera, borgo medievale all’estremo lembo della provincia di Macerata, 237 residenti sparpagliati in sette frazioni, più di duemila da luglio a settembre con i turisti e i “paesani” che rientravano nella seconda casa per le vacanze, gente andata a vivere (e soprattutto a lavorare) a Foligno, Spoleto, Roma. «Il mio Comune è stato tra i primi ad approvare il Piano urbano attuativo – dice Falcucci – ma ci sono voluti 15 mesi per svolgere tutte le pratiche e ottenere pareri e autorizzazioni, anche se, con il commissario Legnini c’è stata una significativa svolta, serve però una semplificazione della burocrazia». In ogni caso, lo spopolamento a cui le zone montane sono soggette ormai da decenni, con il terremoto ha avuto un’ulteriore accelerazione e la pandemia ha fatto il resto: «Molti tra quelli che volevano tornare qui per trascorrere le vacanze non hanno più la casa e i giovani sono rimasti senza lavoro nè prospettive: ma dobbiamo ridare loro la speranza» sostiene Falcucci.
Intanto sul territorio dell’Alto Maceratese i servizi scarseggiano: ospedali e trasporti pubblici ridimensionati, uffici postali chiusi, scuole smantellate (mancano i bambini), niente banche, teatri, cinema e palestre, per non parlare della banda larga e della fibra ottica. E allora, chi ha bisogno di una visita specialistica o, per esempio, di comprare un televisore, deve andare a Camerino, 40 minuti di macchina da Castelsantangelo, attraverso una strada tortuosa tra i monti. Ma il terremoto ha sfiancato anche la Città Ducale: nel centro storico, tutto transenne e impalcature, abitano solo una ventina di persone, le altre settemila sono ospitate in località sulla costa adriatica oppure occupano le 310 Soluzioni abitative d’emergenza (Sae) del villaggio sorto più a valle, verso Castelraimondo. Le casette prefabbricate si trovano anche a San Severino Marche, città d’arte, 12mila abitanti, dove però 286 famiglie sono potute rientrare nelle loro case rimesse a posto. Ma se si sale lungo via dell’Uvaiolo si vedono ancora, ai lati della strada, tolte le macerie, i vuoti lasciati dalle villette buttate giù dalle scosse. «Erano 1.113 le case dichiarate inagibili in paese – afferma il sindaco Rosa Piermattei – e delle 777 domande di ristrutturazione presentate, 420 sono finanziate, restano da sistemare la scuola elementare e l’Itis i cui lavori però rallentano e non per colpa nostra. Ma il turismo per fortuna è ripartito e la voglia di ripresa c’è».