Nessun margine di trattativa: Matteo
Renzi tiene il punto sul Jobs act. "La delega sul lavoro alla
Camera non cambierà rispetto al Senato", la riforma del lavoro è
blindata e avverte, se qualcuno del Pd non dovesse votare la
fiducia: "Facciano pure, se lo fanno per ragioni identitarie",
ma "se mettono in pericolo la stabilità del governo o lo fanno
cadere" allora "le cose naturalmente cambiano". Parole nette che
il premier affida a Bruno Vespa che sta mandando in stampa la
consueta strenna letteraria natalizia.
Il premier è netto anche sul rapporto con la leader Cgil
Susanna Camusso, non è "questione di feeling" ma di "diversa
idea del Paese".
La minoranza Pd, dal canto suo, resta basita: confidano nel
fatto che le dichiarazioni di Renzi siano "datate" come logico
che sia per un libro che esce a giorni. Ma da fonti vicine a
palazzo Chigi si fa sapere: le dichiarazioni sono abbastanza
recenti da poter essere considerate d'attualità. Sia come sia,
il messaggio che filtra dal governo resta dunque quello della
fermezza.
È ferma la reazione della minoranza del partito. Sulla quale
il giudizio del premier non è certo tenero: insegue la sinistra
radicale, dice, in nome di una "purezza delle origini" che di
certo "non è destinata a cambiare l'Italia". Di più: "Il sonno
me lo tolgono le crisi industriali, i disoccupati, certo non
Vendola o Landini". Insomma chi vuole andare via è libero di
farlo: "Faccia pure: non mi interessa".
Il segretario della Fiom, ormai sempre più candidato a
incarnare l'anti-Renzi, è tutt'altro che intimorito e dichiara
guerra al governo. "Noi abbiamo la maggioranza dei consensi.
Bisogna convincere Renzi che contro il lavoro non va da nessuna
parte" avverte Landini che annuncia due proteste di piazza dei
metalmeccanici solo a novembre. "Metteremo in campo qualsiasi
azione possibile sindacale e legale dentro e fuori le fabbriche"
avvisa il leader delle tute blu mettendo in guardia il premier:
"Il governo può anche chiedere e ottenere la fiducia. Ma noi non
abbiamo alcuna intenzione di fermarci".
La questione della fiducia, però, mette in crisi la minoranza
che conta di trovare una mediazione per migliorare il testo sia
della delega su lavoro, sia della legge di stabilità. "Se Renzi
è convinto che la delega debba essere approvata così com'è alla
Camera, magari con il voto di fiducia, io sono dell'avviso
contrario" protesta il presidente della Commissione lavoro ed
esponente della sinistra Pd, Cesare Damiano che ribadisce: "È
assolutamente necessario correggere contraddizioni e limiti
della legge di stabilità e migliorare la delega sul lavoro" che,
"come minimo, deve tutelare le nuove assunzioni nel caso di
licenziamenti discriminatori e disciplinari non giustificati".
Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, è più
diretto: "Se non dovesse esserci nel testo neanche la scelta
della direzione del Pd sarebbe molto grave; io personalmente non
voterei quel testo". E Pippo Civati avverte: se non c'è dialogo
i no alla fiducia potrebbero crescere: "Se sono pochi è un fatto
disciplinare ma se sono centinaia è un problema politico
gigantesco".
Tutti si augurano comunque che la posizione di Renzi possa
ammorbidirsi: "Tenendo conto del clima sociale che c'è nel
Paese, sarebbe irresponsabile blindare la delega alla Camera e
non consentire le necessarie correzioni", afferma Alfredo
D'Attorre. E anche Stefano Fassina punta l'indice sulla fiducia
("È un segnale di debolezza politica, grave sul piano
costituzionale"), trovando una sponda nell'azzurro Renato
Brunetta: la fiducia "è una inaccettabile forzatura" che
"distrugge il Parlamento".