Le prime ore da quasi-premier incaricato non scalfiscono l’approccio leggero che Matteo Renzi ha anche alle cose serie: «Come andrà? Boh, chi lo può dire. In due mesi capiremo se funziona o meno», dice il segretario Pd in viaggio verso Firenze. Oggi è il giorno del 'giro d’onore' nella sua città, della visita ai luoghi che hanno segnato la sua esperienza da sindaco. È andato a un incontro di fidanzati per San Valentino, e forse penserà a quanto lunga potrà essere la sua luna di miele con gli italiani. Sabato, invece, tornerà a Roma e salirà al Colle per le consultazioni come segretario del Pd, insieme ai capigruppo di Camera e Senato. Lunedì potrebbe ricevere l’incarico. Le prossime non saranno ore vuote. Due squadre sono al lavoro. La prima, capitanata da Graziano Delrio, si occupa del programma che ora unisce riforme (Italicum, Senato e titolo V) e rilancio economico. La seconda, guidata da Lorenzo Guerini, si preoccupa di allargare il perimetro della maggioranza cercando di coinvolgere vendoliani, dissidenti 5 Stelle e leghisti. Lui, invece, aprirà il canale diretto con Alfano, Mauro e montiani per definire la squadra e smussare i punti programmatici divisivi. Ma cosa ha in mente Renzi? «Voglio 60 giorni di fuoco, da sindaco», dice ai suoi. I due mesi che conducono alle Europee devono essere segnati da risultati concreti. E i più semplici e immediati da raggiungere appartengono ad un solo capitolo: costi della politica. Stipendi dei consiglieri regionali, salari dei manager pubblici, aggressione a doppi, tripli e quadrupli incarichi. Ecco il «tesoretto» da portare in dote agli italiani per riconquistare fiducia ed evitare che il voto per Strasburgo sia l’
harakiri dei partiti tradizionali. Certo, il punto essenziale è il rilancio dell’economia e dell’occupazione. Il
jobs act , per farla breve. Ma le risorse non si inventano da un giorno all’altro. E su molti punti c’è da ingaggiare una battaglia campale con i sindacati. Prima bisogna reperire soldi e creare consenso. Perciò uno dei primi incontri che Renzi ha in mente è quello con il responsabile della
spending review Carlo Cottarelli. «Dobbiamo aprire la scatola della burocrazia», dice con toni quasi grillini. Di sicuro metterà in campo la sua proposta sulla dirigenza pubblica, per rimuovere i «megadirettori generali» – così li chiama, alla Fantozzi – che guidano da anni, se non decenni, la macchina dei dicasteri. Quanto poi al
jobs act , la parte 'regolatoria' (il nuovo contratto d’inserimento flessibile per i giovani e il Codice semplificato) è molto più avanti della parte relativa alla politica industriale. Il nodo più grosso, per Renzi, è tenere insieme la maggioranza ristretta di governo con la maggioranza allargata delle riforme. Ormai si mette in conto un parziale rallentamento dell’Italicum, perché il potere di veto dei piccoli partiti aumenterà. «Ma prima delle Europee dobbiamo chiudere, lo abbiamo promesso», ricorda il segretario nei primi contatti con Alfano. Quanto alle riforme istituzionali, con il nuovo orizzonte del 2018 si ammette che i tempi potranno essere «più rilassati». E anche l’idea di aggiungere i capitoli della forma di governo e della giustizia va considerata con le molle: dopo la 'staffetta' è vietato offrire altri segnali che sembrano assist a Berlusconi. In ogni caso il sindaco di Firenze non rinuncerà, nella trattativa per formare il nuovo esecutivo, ad agitare lo spettro del voto: «Io non ho paura, nemmeno con il Consultellum». Il programma che ha in mente Renzi dovrebbe avere 4-5 grandi obiettivi, sarà un testo molto più snello di quello presentato mercoledì da Letta. Quanto alla squadra, la certezza, tra tante voci, sembra una sola: il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dovrebbe essere Delrio. I ministri saranno 12, circa 50 i sottosegretari.