Cala il sipario sul semestre di presidenza italiana dell’Unione. Matteo Renzi restituisce lo "scettro" a Strasburgo, mentre Giorgio Napolitano lo attende a Roma, con la sua lettera di dimissioni, rinviate proprio per chiudere la delicata fase dell’impegno europeo. Il premier, di fronte agli alleati che lo ascoltano nell’Europarlamento, non può non chiedere un tributo al capo dello Stato, «convinto europeista che in queste ore lascerà l’incarico». E l’applauso arriva, mentre il presidente del Consiglio traccia un bilancio, a poche ore dalla strage di Parigi e dalla risposta unanime contro il terrorismo. L’Europa della crescita è stata solo avviata. Ma anche se «c’è stato un cambiamento profondo nella direzione», ora servono i fatti. Altrimenti l’Ue «diventerà il fanalino di coda del mondo».L’assemblea plenaria batte le mani al novennato del presidente della Repubblica. E Renzi non fa sconti all’Italia, che deve continuare a fare la sua parte, «se vuole restare in competizione», spiega, negando però un cambio di squadra, dopo le critiche ai ministri economici. Di certo, con questa crisi, molto ha giocato il ruolo di Napolitano. «È stato e ha rappresentato anche in questi sei mesi la guida per il nostro Paese», ricorda Renzi «e continuerà a far sentire la sua voce come senatore a vita». Un tempo in cui ha «compiuto un lungo percorso di cambiamento e avendo affrontato le difficoltà in Italia con la saggezza e l’intelligenza che molti di voi hanno riconosciuto lavorandoci a fianco anche in quest’Aula negli anni passati». Napolitano è stato il garante del nostro Paese in questi anni di crisi. L’Europa guarda con interesse alla successione. «Chi verrà dopo – ragiona il premier – lo vedremo nelle prossime ore. Posso dire che la Costituzione definisce un profilo del Presidente della Repubblica: un arbitro saggio, non un giocatore di una delle due squadre, come in altri ordinamenti». Insomma, «un arbitro con rilevanti responsabilità nella vita quotidiana, rilevantissime in alcuni momenti storici, e noi dovremo individuare una personalità di grande livello».Perché l’emergenza non è finita, ed è anche per le difficoltà economiche, secondo il presidente del Consiglio, che si alimenta «la demagogia imbarazzante della paura». «Oggi in Italia c’è un derby»: da un lato «chi vede le difficoltà ma si alza in piedi e prova a risolverle immaginando per il nostro Paese un futuro grande», dall’altro «chi scommette sul fallimento e la paura e sul fatto che non ce la faremo».E c’è la crescente paura del terrorismo, che porta a chiudersi e «rannicchiare i nostri valori in una fortezza», paura degli altri, senza rendersi conto che «il contrario di integrazione è disintegrazione, rottura, distruzione». Ma «non dobbiamo consentire ai nostri nemici di ucciderci», non potendo «cambiare il nostro modo di vivere». Se un nemico esiste e va combattuto, «è l’ideologia, il fanatismo», non certo «la religione, secondo Renzi, che chiude il suo bilancio tra le interruzioni degli euroscettici, in un’aula con molti scranni vuoti.