I riflettori spenti sulle trivelle non oscurano affatto la polemica politica rimasta sullo sfondo del referendum di domenica. Le cifre chiare che hanno invalidato il quesito servono a ragionare sulle prossime scadenze elettorali. E mentre le opposizioni – esterne al governo e interne al Pd – studiano le prossime mosse, Matteo Renzi, in partenza per gli Usa nel giorno in cui il Senato voterà l’ennesima mozione di sfiducia al suo governo, ostenta la certezza di chi ha una strada tracciata e non intende modificarla. Così, alle telecamere del Tg1, nell’edizione di massimo ascolto della tv ammiraglia, replica a fine giornata alle critiche esplicite e ai messaggi indiretti. «Io sono convinto che la consultazione» sulle trivelle «sia finita. Il popolo italiano ha parlato. Leggo che chi ha perso spiega che ha vinto » ma adesso è ora «di impegnarsi a tenere il mare pulito, magari occupandoci dei depuratori, cosa che dovrebbero fare le Regioni». È la prima stoccata ai presidenti delle Regioni che hanno promosso i quesiti e hanno aperto il fuoco. Dalla Puglia e dalla Toscana Emiliano e Rossi stanno ricaricando i fucili. Renzi però ha già un arsenale pronto. «Leggo che con il solito atteggiamento della politica italiana vecchio stile: non perde mai nessuno nelle elezioni referendarie », dice sarcastico. Ebbene, ragiona, «mettiamo finalmente a posto la grande scommessa sulle rinnovabili e mettiamo fine alle polemiche. Gli italiani ci chiedono di lavorare non di litigare». E però, se qualcuno ha difettato in questo periodo, insiste il presidente del Consiglio, questi sono proprio i presidenti di Regione: «Pensino ora a tenere il mare pulito». Ma il vero banco di prova per il segretario del Pd non saranno le amministrative, su cui puntano i suoi avversari interni. «Si vota per il primo cittadino e non per il primo ministro», scandisce. Insomma, minimizza, «se a Roma vince il candidato contro le Olimpiadi ci sono conseguenze per il governo nazionale che le Olimpiadi le vuole fare». Ma niente di più. E qui il messaggio è alla sinistra dem. Poi arriva il cuore del ragionamento, l’obietti- vo principale, ovvero il referendum costituzionale. «La domanda di ottobre non riguarda il governo ma riguarda se si vuol cambiare la Carta e rendere più semplice la politica. Se noi saremo bravi a spiegare le nostre ragioni otterremo un consenso ma il voto sulla persona non c’entra niente. Certo io se perdo vado a casa». Anche qui, un colpo ai governatori. Quel referendum «non riguarda il governo, riguarda una cosa molto semplice: volete cambiare la Costituzione e rendere più semplice il sistema politico, riducendo il numero dei politici, cambiando il ruolo del Senato, eliminando troppi poteri alle Regioni, abbassando gli stipendi dei consiglieri regionali? Questo prescrive la nuova Costituzione», spiega il presidente del Consiglio. Così il capo dell’esecutivo continua a testa alta la sua sfida. E con la stessa aria affronta la vigilia del nuovo voto di fiducia, arrivata sul caso Tempa Rossa. «Siamo affezionati alle mozioni di sfiducia, ce ne fanno una ogni quindi giorni, quando sono stanchi una al mese». Ma nessuna polemica con la magistratura: «Diremo che siamo i primi a chiedere giustizia, a volere la verità. Chi è colpevole paghi ma sono le sentenze dei giudici a deciderlo, non il sacro blog o un’assemblea parlamentare». Parole come macigni a cui rispondono con forza per ora i Cinquestelle, per nulla intenzionati alla resa. Ieri è partita la raccolta delle firme per il referendum confermativo sulla nuova Costituzione. Per M5S è una corsa. Il Pd si impegna, ma proiettato direttamente sulla ricerca del consenso degli elettori a ottobre («non faremo una corsa a chi presenta prima la domanda», dice il capogruppo pd Rosato). I grillini però non lasciano cadere le polemiche che degli ultimi giorni: «Senza il quorum molti altri italiani sarebbero andati a votare», dicono. Un avvertimento per la prossima consultazione confermativa, che non richiede quorum. Ma da qui a ottobre, avverte dal vertice grillino Di Battista, M5S non darà tregua al premier. iflettori spenti sulle trivelle non oscurano affatto la polemica politica rimasta sullo sfondo del referendum di domenica. Le cifre chiare che hanno invalidato il quesito servono a ragionare sulle prossime scadenze elettorali. E mentre le opposizioni – esterne al governo e interne al Pd – studiano le prossime mosse, Matteo Renzi, in partenza per gli Usa nel giorno in cui il Senato voterà l’ennesima mozione di sfiducia al suo governo, ostenta la certezza di chi ha una strada tracciata e non intende modificarla. Così, alle telecamere del Tg1, nell’edizione di massimo ascolto della tv ammiraglia, replica a fine giornata alle critiche esplicite e ai messaggi indiretti. «Io sono convinto che la consultazione» sulle trivelle «sia finita. Il popolo italiano ha parlato. Leggo che chi ha perso spiega che ha vinto » ma adesso è ora «di impegnarsi a tenere il mare pulito, magari occupandoci dei depuratori, cosa che dovrebbero fare le Regioni». È la prima stoccata ai presidenti delle Regioni che hanno promosso i quesiti e hanno aperto il fuoco. Dalla Puglia e dalla Toscana Emiliano e Rossi stanno ricaricando i fucili. Renzi però ha già un arsenale pronto. «Leggo che con il solito atteggiamento della politica italiana vecchio stile: non perde mai nessuno nelle elezioni referendarie », dice sarcastico. Ebbene, ragiona, «mettiamo finalmente a posto la grande scommessa sulle rinnovabili e mettiamo fine alle polemiche. Gli italiani ci chiedono di lavorare non di litigare». E però, se qualcuno ha difettato in questo periodo, insiste il presidente del Consiglio, questi sono proprio i presidenti di Regione: «Pensino ora a tenere il mare pulito». Ma il vero banco di prova per il segretario del Pd non saranno le amministrative, su cui puntano i suoi avversari interni. «Si vota per il primo cittadino e non per il primo ministro», scandisce. Insomma, minimizza, «se a Roma vince il candidato contro le Olimpiadi ci sono conseguenze per il governo nazionale che le Olimpiadi le vuole fare». Ma niente di più. E qui il messaggio è alla sinistra dem. Poi arriva il cuore del ragionamento, l’obietti- vo principale, ovvero il referendum costituzionale. «La domanda di ottobre non riguarda il governo ma riguarda se si vuol cambiare la Carta e rendere più semplice la politica. Se noi saremo bravi a spiegare le nostre ragioni otterremo un consenso ma il voto sulla persona non c’entra niente. Certo io se perdo vado a casa». Anche qui, un colpo ai governatori. Quel referendum «non riguarda il governo, riguarda una cosa molto semplice: volete cambiare la Costituzione e rendere più semplice il sistema politico, riducendo il numero dei politici, cambiando il ruolo del Senato, eliminando troppi poteri alle Regioni, abbassando gli stipendi dei consiglieri regionali? Questo prescrive la nuova Costituzione», spiega il presidente del Consiglio. Così il capo dell’esecutivo continua a testa alta la sua sfida. E con la stessa aria affronta la vigilia del nuovo voto di fiducia, arrivata sul caso Tempa Rossa. «Siamo affezionati alle mozioni di sfiducia, ce ne fanno una ogni quindi giorni, quando sono stanchi una al mese». Ma nessuna polemica con la magistratura: «Diremo che siamo i primi a chiedere giustizia, a volere la verità. Chi è colpevole paghi ma sono le sentenze dei giudici a deciderlo, non il sacro blog o un’assemblea parlamentare». Parole come macigni a cui rispondono con forza per ora i Cinquestelle, per nulla intenzionati alla resa. Ieri è partita la raccolta delle firme per il referendum confermativo sulla nuova Costituzione. Per M5S è una corsa. Il Pd si impegna, ma proiettato direttamente sulla ricerca del consenso degli elettori a ottobre («non faremo una corsa a chi presenta prima la domanda», dice il capogruppo pd Rosato). I grillini però non lasciano cadere le polemiche che degli ultimi giorni: «Senza il quorum molti altri italiani sarebbero andati a votare», dicono. Un avvertimento per la prossima consultazione confermativa, che non richiede quorum. Ma da qui a ottobre, avverte dal vertice grillino Di Battista, M5S non darà tregua al premier.