mercoledì 4 febbraio 2015
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​È arrivato il momento che aspettava da mesi. Matteo Renzi si accomoda nel "salotto" di Bruno Vespa, davanti alle telecamere di Porta a porta, con l’aria di chi ha chiuso uno dei capitoli più delicati, ha messo a segno un punto d’oro e ora riprende la corsa con una determinazione maggiore e una forza da tritasassi. Rilassato, forte dell’incontro con il premier greco Tsipras, il premier si concede qualche battuta, tra una bacchettata e l’altra ad alleati e avversari, che si mischiano in un calderone nel quale lui continua a rimestare. E allora, sul ritorno in scena di Berlusconi che gli ha dato del «birichino», replica allegro: «Se io sono un birichino lui è un biricone». Di certo l’ex Cavaliere si presta allo scherzo. Ed eccolo ripagato della stessa moneta. La fine della pena è stata anticipata all’8 marzo: «È la festa della donna... Lui notoriamente è un appassionato della materia...».C’è anche veleno in canna. È riservato a Enrico Letta, tornato in scena, per il voto a Mattarella. Quello nei suoi confronti, dice, «non è stato in alcun modo un tradimento di un patto. Se fosse stato sereno, sarebbe rimasto lui il presidente del Consiglio».E di certo c’è anche un pizzico di autocritica: «Se c’è una persona totalmente inidonea al Quirinale, sono io. Lì ci vuole un arbitro, ci vuole uno più capace a ricucire che a strappare».Ma poi Renzi passa in rassegna le cose fatte e quelle da fare. E anche i partiti con cui portare a termine le riforme. Ne ha per tutti. La vicenda del Quirinale ha mischiato le carte in tavola e confuso i confini dell’alleanza di governo. Ncd e Scelta civica sono quei «partitini» per i quali Renzi non ha parole tenere. I tentennamenti sull’elezione di Mattarella hanno lasciato per qualche giorno sulle spine l’inquilino di Palazzo Chigi. «Nonostante gli indecisi abbiamo fatto veloce. C’era una convention quotidiana dei gufi che scommetteva sul nostro fallimento sul presidente della Repubblica».I fatti hanno dimostrato che non c’erano patti segreti dietro alla scelta del successore di Napolitano. «Sul nuovo presidente si è fatto un ragionamento alla luce del sole». Proprio per questo, però, ora «è finito il potere di veto per i piccoli partiti. Se si vuole discutere, bene, si discute ma il potere di veto non esiste più». Messaggio a Ncd, ma anche a Sc: «Scelta civica, se esiste ancora...», ironizza.E, avverte, adesso con lo stesso metodo si va avanti sulle riforme. «Berlusconi le riforme vuole farle o no? Deve decidere se sono cose buone per il Paese o invece una schifezza, come dice Brunetta. Dovrebbe metterci il cappello...». Perché si faranno «comunque». Anche a costo di rompere nel Pd, concorda il suo ministro Maria Elena Boschi: «Se la minoranza non vota, tradisce il mandato».Per quelle del governo, invece, il cappello lo metterà il premier stesso. Di qui l’avvertimento, che sulla riforma delle banche popolari, «sono pronto anche a mettere la fiducia», perché «ci sono dieci banche, quelle più grandi, che hanno snaturato il concetto di banca popolare di una volta, fondato sul solidarismo cattolico». Gli alleati non potranno frenare l’ondata riformatrice. Perché come si poteva eleggere Mattarella «senza di loro», così si può andare avanti. Senza rimpasti e senza verifiche. Quelle, dice, «si fanno a scuola». Il dibattito si fa per l’Italia e davanti agli italiani, dice il premier.Nel merito, ancora, è «una leggenda metropolitana irrecuperabile» che la norma del 3% nel decreto fiscale fosse "salva-Berlusconi". Sulle previsioni di crescita del Pil di Confindustria del 2%, dice che sono «irrealistiche». Sul Jobs act, «dal primo marzo si può assumere con le nuove norme». Anche la Rai sotto la scure del governo: la riforma «si fa adesso, questione di settimana». E alla fine ci sarà anche la legge sulle unioni civili, «dopo la seconda lettura delle riforme costituzionali».
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