Il reddito di cittadinanza targato M5S è una «grillata». Ma quello dei «poveri assoluti » è «un problema serio che un governo serio di un Paese serio deve saper affrontare». Sono le uniche parole che si riescono a strappare a Matteo Renzi sul tema di un sussidio universale a chi non ha niente. Il dato europeo il premier lo conosce bene: l’Italia con Grecia e Ungheria è l’unico Stato membro che non ha una misura del genere. I motivi sono arcinoti: il lavoro nero e i tanti, troppi finti poveri che si nascondono al fisco. Ma i 'furbetti' non possono diventare l’alibi per non dare risorse anche a chi ne avrebbe diritto, Renzi questa consapevolezza l’ha maturata. E nei dialoghi informali con Poletti ha dato al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali un mandato pieno per stendere un Piano nazionale di contrasto alla povertà. Le idee sono sul campo, ora c’è anche una tempistica: il progetto sarà presentato entro giugno con un evento pubblico, perché il messaggio deve trovare spazio nell’opinione pubblica prima di incassare fondi nella difficile partita della legge di stabilità. Il principio cardine del piano del governo segna subito un distacco dal disegno di legge targato M5S. L’obiettivo dell’esecutivo è quello di agire sulla povertà assoluta, sui nullatenenti, e non anche su chi non arriva alla soglia di povertà relativa. Non è una questione terminologica, è sostanziale. L’esecutivo guarda a quel 10 per cento circa di italiani – al lordo di chi mente e non viene scovato – che non ha un euro e accumula all’estremo disagio economico povertà educative, sociali, sanitarie. Si tratta di circa 6 milioni di persone. Una platea molto più ristretta di quella indicata dai grillini (e da un’analoga proposta di Sel), che punta invece ad affermare il principio per cui chiunque deve godere di un reddito annuo di almeno 7.200 euro. Non esiste dunque trattativa su una spesa da 17 miliardi di euro. Mentre «porte aperte» a chiunque, in Parlamento, voglia aiutare a scrivere la prima forma di sussidio universale per i poveri assoluti.
Il piano al momento è nelle mani della direzione generale per l’inclusione e le politiche sociali del ministero guidato da Poletti. Il vertice della struttura, l’economista Raffaele Tangorra, ha sotto gli occhi decine di proiezioni. La più immediata e la più intuitiva parte da una sigla semisconosciuta, il Sia, Sostegno per l’inclusione attiva, sistema sperimentato in 12 città italiane e che nel 2015 dovrebbe estendersi (ma l’iter è estremamente lento e ancora incompiuto) all’intero Meridione. Con le poche risorse di cui ha goduto il Sia (creato dal ministro Giovannini durante il governo Letta) si è riusciti a dare, nelle 12 città campione, 230 euro ad una famiglia con due persone e 400 a un nucleo con cinque persone. Nulla di risolutivo, evidentemente. In ogni caso la strada è correggere questa esperienza (semplificandola) e portarla a tutto il Paese mettendoci sopra 1,5 miliardi per arrivare almeno alle situazioni di miseria estrema. È su queste cifre che si ragiona. Sicuramente non sufficienti a raggiungere tutti, basti pensare che la proposta del Reddito d’inclusione sociale avanzata dal cartello 'Alleanza contro la povertà', ugualmente rivolta alla platea dei poveri assoluti e molto simile nei principi al piano-Poletti, prevede a regime l’erogazione di 7 miliadi di euro. Alla luce dei conti pubblici e dei vincoli Ue il governo riesce solo ad assumere l’impegno di incrementare le risorse nel tempo o comunque a cercarne altre «realistiche» in Parlamento. La sfida comunque è far entrare il Piano in legge di stabilità, anche se proprio Poletti arriverà all’appuntamento dell’ex finanziaria con altre richieste pesanti, come quella sulla flessibilità per andare in pensione. Il nodo è politico, e lo può sciogliere solo Renzi. Anche evitando coperture sempre fonte di grande polemica come un prelievo sulle pensioni medio-alte. L’idea di Poletti, in ogni caso, è quello di creare un sistema di contrasto alla povertà che unisca sussidio e servizi. La richiesta del 'reddito minimo d’inclusione' dovrebbe avvenire presso i servizi sociali del Comune o comunque ad uno sportello della rete assistenziale, la verifica dei requisiti dovrebbe essere svolta in pochi giorni e all’erogazione della social card si affiancherebbe un progetto personale, una «presa in carico» della famiglia che comprenda anche alcuni servizi gestiti dal pubblico o dal terzo settore. Ad esempio le cure essenziali per un anziano convivente o il sostegno per l’istruzione ai figli. Dal punto di vista politico, dunque, la distanza con la proposta di Grillo è siderale e il governo ritiene poco meno che «demagogiche» le coperture proposte da M5S. L’indirizzo è agire sulle priorità. Una priorità individuata dall’esecutivo con il Jobs act sono i lavoratori che escono anche dall’assegno di disoccupazione, per i quali è stato creato un altro istituto aggiuntivo di sostegno, l’Asdi. Si è poi ottenuto dall’Europa di aprire il Pon nazionale per l’inclusione (1,2 miliardi in 7 anni) anche al sostegno indiretto al reddito, prima escluso. Ma il piano-Poletti, per ottenere il lasciapassare, deve anche essere credibile sul fronte dei controlli. Si tratta di potenziare il 'casellario' delle prestazioni sociali per scovare doppioni e furbetti, utilizzando anche le banche-dati di Entrate, Inps e Inail. «Il ministro sta lavorando alacremente», rispondono dal suo staff per ribadire che Poletti ci crede davvero.