Soldati polacchi sorvegliano i migranti al confine con la Bielorussia - Ansa
Nel 2020, l’anno nero della pandemia che ha reso difficili i movimenti e inasprito il divario fra la parte ricca del mondo e l’altra, Italia ed Europa hanno rappresentato un’eccezione per i profughi. Mentre nel mondo per l’aumento di povertà e conflitti il numero delle persone in fuga è aumentato fino a una stima di 82,4 milioni, nell’Ue si è registrato un calo degli arrivi “irregolari” di rifugiati e migranti (- 12% rispetto al 2019) e i richiedenti asilo sono crollati di ben un terzo. Ma L’Ue vuole continuare ad alzare i muri alle frontiere non solo simbolicamente.
Affronta il dramma dell’aumento globale della mobilità forzata unito alle chiusure della fortezza Europa la quinta edizione del rapporto “Gli ostacoli verso un noi sempre più grande” che la Fondazione Migrantes dedica in occasione della giornata mondiale del migrante a richiedenti asilo, rifugiati e migrazioni forzate presentato stamattina a Roma.
Siria e Afghanistan, poi Venezuela e Colombia (che hanno sostituito Irak e Pakistan) sono da anni le cittadinanze principali delle persone che chiedono protezione nell’Ue, la quale continua ad alzare muri alle frontiere venendo meno ai propri principi.
Nel primo semestre di quest’anno hanno chiesto asilo nell’Ue circa 200 mila persone, in pratica quante nel primo semestre 2020. Secondo le cifre Eurostat, nell’ultimo anno la percentuale di riconoscimento di protezione in prima istanza in Italia (28%) risulta nettamente inferiore a quella media dell’Ue. È invece superiore (41%) se si considerano gli esiti in istanza finale su ricorso
Quanto alla cittadinanza dei richiedenti asilo, nell’ultimo anno hanno ottenuto protezione in Europa quasi tutti i richiedenti in prima istanza venezuelani (95%), quattro eritrei e siriani su cinque, ma solo sei somali e afghani su 10, quattro irakeni su 10, tre iraniani su 10, due salvadoregni e ivoriani su 10 e 17 nigeriani su 100.
Ai primi di novembre 2021 la stima (minima) dei migranti morti e dispersi nel Mediterraneo ha già superato il totale del 2020, 1.559 contro 1.448. Lo scenario di questo “nuovo” disastro umanitario, circondato dalla sostanziale indifferenza degli Stati europei e dell’UE, è soprattutto il Mediterraneo centrale, sulla rotta che conduce verso l’Italia e Malta, dove sempre ai primi di novembre 2021 si contano già più di 1.200 morti e dispersi, contro i 999 di tutto il ’20.
La vecchia Europa sembra sempre più chiusa in se stessa, conclude il report, e pochi sono gli spiragli di speranza. Entrare nell'Ue sarà sempre più difficile e costoso e la solidarietà tra Paesi di primo sbarco e quelli di seconda destinazione, "solo formale". Per la Migrantes occorre reagire a partire dal livello “locale” italiano, guardando ai pochi ma significativi aspetti positivi: “l’introduzione della nuova protezione speciale, le vie sperimentali per l’accesso legale e sicuro nel nostro Paese di minori attraverso i visti per studio e i corridoi umanitari, e il protagonismo dei rifugiati che iniziano a prendere pubblicamente parola nel dibattito pubblico e scientifico”.
Durante la presentazione del rapporto, monsignor Stefano Russo, segretario generale della Cei, ha dichiarato: «Finisca il continuo rimbalzo di responsabilità, non si deleghi sempre ad altri la questione migratoria, i vescovi italiani hanno più volte denunciato l'inaccettabile dramma dei migranti chiedendo una risposta ispirata ai quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere, integrare [...]. Per la Chiesa che è in Italia stare accanto ai più deboli è una scelta che si rinnova ogni giorno. A questo proposito, ricordo l'impegno degli ultimi anni con cui si sono garantiti oltre 700 posti ai profughi provenienti da Kabul con i ponti aerei mentre recentemente la Cei ha firmato un nuovo protocollo con il governo italiano per l'apertura di un corridoio umanitario da Iran e Pakistan per trasferire in Italia in modo sicuro e legale rifugiati afghani con un progetto di integrazione collegato».