Mancano 24 ore, e la porta è un po’ meno stretta. Non c’è parlamentare del Pd, del Pdl e di Scelta civica che non veda in Giuliano Amato il candidato "numero uno" al Colle, l’uomo delle larghe convergenze. Berlusconi e Bersani ieri non si sono visti di persona, ma oggi a pranzo potrebbero definire l’intesa: nome secco da votare nei primi tre scrutini, perché dopo le truppe democrat sembrano ingestibili.Guai però a dire che tutto sia chiuso. «Se passano i primi tre scrutini prepariamoci a un Vietnam nel Pd», spiega il Cavaliere arrivando a Roma in serata. Una situazione in cui Berlusconi potrebbe calare l’asso spaccatutto (e pigliatutto?), Massimo D’Alema. Specularmente Bersani ammette con i fedelissimi che una volta passata la terza votazione, quando servirà la maggioranza assoluta, per tenere unito il Pd sarà costretto a «sparigliare» o con Romano Prodi o con un nome del tutto nuovo (si parla di alcuni esponenti della Corte costituzionale,
l’Espresso on line azzarda anche un sondaggio su Andrea Riccardi, mentre Nichi Vendola spera sempre in una «donna di rottura» sul modello Boldrini).Al momento, l’ipotesi più probabile è che domani, nei primi due scrutini, Amato sia tenuto sotto coperta, e che attraverso i candidati di bandiera si cerchi di capire la compattezza delle truppe e di limare le dissidenze interne. Berlusconi ha bisogno di tempo per convincere la Lega (il Carroccio con una nota ha detto «no» al dottor Sottile, a Monti e a Prodi, e nei primi scrutini dovrebbe votare una sua donna sindaco) e i "craxiani" del Pdl, Bersani deve calmare invece la tempesta in Sel, parlare faccia a faccia con coloro che magari si aspettavano un candidato d’area cattolica e riportare nel suo sentiero i battitori liberi attratti da Milena Gabanelli e, soprattutto, da Stefano Rodotà (il giurista potrebbe compattare l’intera sinistra del partito). Insomma, la candidatura Amato può restare in vita sino a venerdì mattina.Bersani, tra l’altro, ieri ha incontrato tre "papabili" (Finocchiaro, Marini e Violante) e i tre incontri sono sembrati, per motivi diversi, una via cordiale per diminuire le loro attese. Sui primi due, in particolare, si è levata nei giorni scorsi una serie di veti incrociati dai quali ormai non si può tornare indietro.Nel frattempo il Cav aspetta, convinto che qualsiasi esito, anche il peggiore, non potrà che rafforzarlo. Ma la sua non è un’attesa passiva. Gianni Letta è in contatto costante con tutti i "papabili", e cura in modo discreto l’altra partita cara a Berlusconi, quella per il governo. L’ex sottosegretario avrebbe raccolto rassicurazioni circa il fatto che nessuno (nemmeno il temutissimo Prodi...) darebbe un incarico al buio a Bersani. Tutti, insomma, resterebbero fedeli alla linea Napolitano dei "numeri certi" nonché al lavoro dei dieci saggi.Non è un caso se dall’incontro dell’altroieri tra Monti e Bersani sia uscita anche una sorta di piattaforma per un esecutivo del presidente o di responsabilità nazionale o di scopo che dir si voglia. E non è un caso se ieri diversi ministri uscenti hanno ricevuto da Monti l’indicazione che, in caso di ritorno al voto già a giugno-luglio, tocchi ancora a loro traghettare il Paese alle urne. I margini per un esecutivo di minoranza targato Bersani sembrano dunque ridursi, a meno che il segretario non viri improvvisamente verso il candidato al Colle di M5S oppure che Berlusconi preferisca dare il via libera ad un governo senza suoi esponenti pur di non avere un capo dello Stato ostile. C’è un ultimo dato che dà conto dell’incertezza: i funzionari della Camera hanno ricevuto un preavviso per il lavoro extra anche lunedì e martedì. Soltanto prudenza? Forse.