La scultura Non-violence, una pistola in bronzo con la canna annodata, installata davanti alla sede centrale dell'Onu a New York - Imago Mundi
Un’intera scolaresca in caserma per una lezione di combattimento corpo a corpo. È uno degli ultimi casi, capitato a Brindisi a inizio dicembre, rilevato dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e l’università che da due anni monitora tutte le volte che le forze armate entrano nelle classi in modo anomalo. Poche settimane dopo, appena prima del fermo natalizio – rileva l’ente – una dirigente scolastica della provincia di Siracusa ha firmato una convenzione per permettere agli studenti del proprio Istituto superiore di svolgere i Pcto, l’ex alternanza scuola-lavoro, presso l’arsenale militare marittimo di Augusta. E ancora: a Messina tre foto di militari in assetto da guerra, equipaggiati con divise mimetiche, caschi e armi sono state trovate persino tra le pagine della brochure di presentazione della scuola, forse a promuovere il corso di orientamento con le forze dell’ordine previsto dal piano dell’offerta formativa.
«L’operazione di ingresso di militari nella scuola e degli studenti nelle caserme – spiega Michele Lucivero, insegnante a Bisceglie e responsabile dell’Osservatorio – è diffuso ed esiste da anni: coinvolge tutte le fasce, dalle primarie alle superiori fino all’università. Si va dagli alunni di una scuola elementare di Trani ai quali vengono fatte maneggiare armi, agli studenti più grandi che hanno la possibilità di svolgere i Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto) in aziende del comparto militare-industriale, nelle caserme o basi militari (succede, per esempio, nella ex base Nato a Sigonella). Lunga anche la lista delle classi in cui l’armamentario bellico fa capolino in aula sotto forma di computer, droni e robot dual use, a scuola adoperati per esperimenti e fuori programmati per sganciare bombe. A Palermo, recentemente, i vigili urbani hanno organizzato, alla presenza di una scuola della città, una simulazione dell’arresto di un criminale: si sono messi a sparare a salve e hanno spaventato i bambini».
L’Osservatorio accoglie le segnalazioni e spulcia attivamente i giornali locali per raccogliere e denunciare gli episodi dal territorio e poi, grazie alla rete di lavoratori nelle scuole e alla collaborazione con altre associazioni pacifiste, prova dall’interno a contrastare queste iniziative una per una.
«Normalmente negli istituti – è l’esperienza di Lucivero – i progetti e le uscite didattiche seguono un iter di approvazione molto preciso: vengono portate in collegio docenti e poi votate in consiglio di classe. Ci siamo accorti, però, che questa procedura partecipativa e democratica viene spesso disattesa quando si tratta di iniziative legate ai militari. Un comandante di una caserma o un sindaco chiama il dirigente e annuncia una manifestazione istituzionale per la quale è necessaria una rappresentanza della scuola. Che a quel punto avviene, senza ulteriori passaggi. Ecco perché bisogna formare e sensibilizzare il personale per fermare queste iniziative».
Allo scopo l’Osservatorio ha prodotto anche un vademecum che indica gli strumenti giuridici utilizzabili per opporsi concretamente ad attività di stampo militare che violino la libertà d’insegnamento o norme contrattuali. «Con queste operazioni – conclude Lucivero – la cultura della guerra entra nella testa dei più giovani: diventa un metodo per legittimare e diffondere il consenso, tra le nuove generazioni, sulla presenza delle forze armate che intervengono in più contesti, sia all’estero nelle varie missioni internazionali, sia nei più disparati ambiti interni, compresi quelli non di stretta competenza militare».