giovedì 5 gennaio 2017
Maggioranza spaccata, decide Gentiloni. M5S a testa bassa: pensate solo alle banche
Povertà, perde quota l'ipotesi del decreto
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L’ultima polemica interna a maggioranza e governo (contro la povertà meglio un decreto o continuare con la legge delega?) fa a cazzotti con la mole di dati che si accumula sul tavolo di chi si occupa degli ultimi. Sono ben 300mila, spiega l’istituto Demoskopica e secondo l’Indice di performance sanitaria (Ips), le famiglie che a causa di spese sanitarie impreviste sono scese al di sotto della soglia di povertà. Maggiormente colpite, come spesso si evince da queste classifiche, sono le regioni meridionali. Ma tutto ciò non sblocca ancora il provvedimento che dovrebbe inserire nell’ordinamento una prima parziale sperimentazione del Rei, Reddito d’inclusione. Lo strumento è previsto all’interno del ddl delega ora all’esame del Senato, e per entrare in vigore avrebbe bisogno prima del completamento dei passaggi parlamentari e poi del varo dei relativi decreti legislativi.

Qualche giorno fa il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina ha proposto di stralciare il Rei e di metterlo in un decreto ad hoc. Una proposta che non sembra raccogliere il favore del titolare delle Politiche sociali Giuliano Poletti, che non vorrebbe spezzettare la legge delega e piuttosto prorogare ed estendere lo strumento alternativo ora in vigore, il Sia, Sostegno per l’inclusione attiva. Sulla stessa linea critica verso l’'accelerazione' sembrano indirizzarsi sia i centristi sia, sebbene in forma più soft, la minoranza dem. La somma da spendere già è stata stanziata con la legge di stabilità, circa 1 miliardo. Poco rispetto ai 7 miliardi calcolati dall’Alleanza contro la povertà per offrire il Reis (Reddito d’inclusione sociale) per tutti coloro che ne hanno davvero bisogno.

Questo primo pacchetto elaborato dal governo Renzi e preso in eredità dall’esecutivo Gentiloni andrebbe a sollevare le famiglie con meno di 3mila euro annui di reddito e con più figli a carico, con un assegno massimo di 400 euro mensili. E però su come articolare questa misura-tampone c’è discordia non solo nel governo, ma anche nella maggioranza. Il presidente della commissione Lavoro al Senato, Maurizio Sacconi, continua a sottolineare l’esigenza di chiarire meglio le modalità di erogazione del sussidio: «La prestazione monetaria promessa dal governo si collega con programmi personalizzati di inclusione, disegnati in prossimità. A mio avviso, l’erogazione dell’assegno dovrebbe essere condizionata al consenso del comune onde evitare che alimenti un eventuale stato di dipendenza da alcool o droghe ». Sacconi propone dunque di correggere la legge-delega valorizzando gli enti locali e l’associazionismo e di non procedere per decreto. La decisione finale la prenderà Gentiloni valutando sia il clima politica sia i numeri in Aula.

Il dibattito sul 'come' dare sollievo, dunque, è ancora aperto e l’ipotesi del decreto resta in stallo. E M5S martella sulle indecisioni della maggioranza: «A loro interessando solo le banche – dice la senatrice pentastellata Nunzia Catalfo –. Se davvero volessero aiutare i poveri, approverebbero il 'nostro' reddito di cittadinanza che costa 14,9 miliardi». Meno, sottolinea, di quanto stanziato per la crisi delle banche (va però detto che il reddito di cittadinanza peserebbe anche sui prossimi bilanci e non sarebbe, come l’intervento per le banche, un’una tantum che incide su una sola annualità).

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