Un professore in classe - Archivio Avvenire
Come spesso capita in Italia, si guarda al dito e non alla luna. E si ragiona per slogan. Così, la previsione contenuta nella bozza del prossimo concorso per i dirigenti scolastici che si svolgerà di qui a qualche mese, che all’articolo 10 prevede che «all’esito della procedura concorsuale, (…) a parità di punteggio complessivo (…), considerate le percentuali di rappresentatività di genere di ciascuna regione (…), il titolo di preferenza sia in favore del genere maschile», è subito diventato il cavallo di Troia per introdurre le “quote blu” nella scuola. E la miccia che ha incendiato il dibattito ancor prima dell’incontro tra ministero e sindacati, previsto la prossima settimana.
Nello specifico, la bozza del bando di concorso per dirigenti scolastici, spiega una nota del ministero dell’Istruzione e del Merito, recepisce «una norma contenuta nel regolamento sull’accesso agli impieghi in tutte le pubbliche amministrazioni», che prevede che nei bandi di concorso «debba essere indicata, per la qualifica interessata, la percentuale di rappresentatività dei generi». E, qualora superasse il 30%, «nello scorrimento della graduatoria per le assunzioni, a parità di titoli e merito, si applica la preferenza a favore del candidato appartenente al genere meno rappresentato».
Nel caso della scuola, il genere meno rappresentato è quello maschile, visto che 8 docenti su 10 sono donne e la percentuale è in costante aumento. Non soltanto alla scuola dell’infanzia e alla primaria. Ma anche alle superiori, le professoresse sono passate dal 48% al 67% del totale negli ultimi 55 anni. È naturale, dunque, che anche tra i dirigenti scolastici si contino più donne che uomini.
Unica eccezione, la Sardegna «dove il differenziale è al di sotto del 30 per cento – annota il Ministero — e il titolo di preferenza non trova applicazione». Pertanto, precisa viale Trastevere, «è sbagliato e fuorviante dire che il Ministero ha introdotto le “quote blu” perché non è stata prevista nel bando alcuna riserva a favore dei candidati di genere maschile ma solo una preferenza che non sovverte l’ordine di graduatoria dei vincitori del concorso».
Semmai, la domanda da farsi è: perché gli uomini non scelgono la professione dell’insegnante? Una prima risposta la fornisce l’Ocse che, nel suo rapporto annuale sullo stato dell’istruzione nei Paesi più industrializzati, al capitolo Italia dice che le ragioni sono due: lo stereotipo che lega le donne ai lavori di cura e la bassa retribuzione dei docenti, che non rappresenta certo un incentivo a preferire l’insegnamento rispetto ad altre professioni meglio retribuite.
Stando all’edizione 2023 di Education at a glance, in Italia il salario reale di maestri e professori è diminuito dell’1,3%. E ancora. Gli stipendi medi degli insegnanti, in Italia, corrispondono al 69% di quelli di altri lavoratori con un livello di istruzione terziaria. Sono queste le ragioni che allontanano gli uomini dall’intraprendere la carriera dell’insegnante. Con ricadute negative anche sulla crescita degli stessi alunni. Osserva sempre l’Ocse che, non soltanto in Italia ma in Europa, in particolare, «si solleva il problema della mancanza di modelli maschili per i bambini».
Una carenza che potrebbe anche diventare un problema. Come sottolineava, qualche anno fa, il sito sulle questioni educative della Commissione Europea Eurydice: «L’assenza di insegnanti maschi a scuola rafforza e perpetua gli stereotipi problematici su donne e uomini». Altro che “quote blu”.