Il luogo dell'omicidio di Libero Grassi a Palermo. Il 10 gennaio del 1991 l'imprenditore pubblicò sul Giornale di Sicilia una lettera al "Caro estorsore" per dire pubblicamente "no" al pizzo. Il 29 agosto dello stesso anno fu assassinato - Ansa
Aumentano le connivenze tra imprenditori, soprattutto edili, e mafia. Si paga e non si denuncia, perché conviene la protezione dei clan. È la grave denuncia di Addiopizzo, l’associazione palermitana nata nel 2004 per contrastare il racket e sostenere e premiare gli imprenditori che si oppongono. Che oggi scende in campo con una proposta diametralmente opposta: inibire l’accesso ai bonus fiscali agli imprenditori che pagano le estorsioni e non denunciano perché conniventi con Cosa nostra. Un’iniziativa lanciata in occasione del trentaduesimo anniversario della lettera al “Caro estorsore” che Libero Grassi pubblicò il 10 gennaio del 1991 sulle pagine del Giornale di Sicilia, per dire pubblicamente “no” al pizzo. Una scelta che pagò con la vita il 29 agosto dello stesso anno.
«Trentadue anni – scrive l’associazione – sono un arco di tempo che impone un’analisi sulla lotta al racket delle estorsioni, sui passi in avanti compiuti e su quanto invece ancora deve essere fatto». Sebbene ci sia ancora chi continua a pagare, va evidenziato che oggi la scelta di opporsi alle estorsioni è possibile e non ha nemmeno bisogno del clamore mediatico a cui fu costretto, suo malgrado, Libero Grassi». Addiopizzo ricorda «i processi, celebrati negli ultimi due decenni grazie al lavoro di magistrati e forze dell’ordine e con l’ausilio di reti sociali di supporto», le «centinaia di denunce di commercianti e imprenditori che si sono opposti a Cosa nostra e che dopo tale scelta sono riusciti a proseguire la loro attività economica in condizioni di normalità».
Ma, avverte l’associazione, «sono ancora molti, specie in alcune aree della città e in specifici settori, coloro che pagano le estorsioni e non denunciano». Un fenomeno su cui «va però aggiornata la narrazione. Oggi a differenza del passato il tema che investe la maggior parte di coloro che pagano non è più quello della paura né tanto meno della solitudine, ma quello della connivenza». Emergono, cioè, «relazioni di contiguità tra molti che pagano senza remore le estorsioni e la criminalità organizzata. Si tratta di commercianti e imprenditori che operano in settori come quello dell’edilizia e che in cambio del pizzo pagato chiedono al medesimo taglieggiatore di scalzare concorrenti, recuperare crediti e refurtive, dirimere controversie con i dipendenti e risolvere problemi di vicinato». Addiopizzo la definisce «una variante degenerativa del fenomeno estorsivo che è sempre esistita ma che rispetto al passato ha assunto una dimensione dominante», producendo un danno alla collettività e sovraesponendo gravemente chi trova la forza e il coraggio di opporsi al racket delle estorsioni. Un fenomeno, la connivenza e la collusione, più volte denunciato con preoccupazione dal procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo.
Così l’associazione lancia la proposta «di strumenti normativi utili a rendere sconvenienti tali relazioni di connivenza». Ora, è l’invito a Governo e Parlamento, «riteniamo maturi i tempi per l’adozione di norme che inibiscano l’accesso a tali misure a quelle imprese che pagano le estorsioni e non denunciano perché conniventi con Cosa nostra». Uno strumento che «oltre a essere coerente con quanto già previsto dalla norma introdotta nel 2009 sul cosiddetto “obbligo di denuncia” per chi contrae con la pubblica amministrazione, disincentiverebbe quelle relazioni di acquiescenza connivente che alterano il mercato e la libera concorrenza a danno di operatori economici perbene e cittadini consumatori finali». Premiando così solo gli imprenditori onesti, coraggiosi, corretti.