L’accordo c’è e il nome pure. Sono le nove di sera quando il vociferato patto fra Pd e Pdl per restringere la rosa di candidati al Colle ad un solo nome di partenza, assume veste ufficiale, con Pier Luigi Bersani che esce allo scoperto, davanti ai suoi parlamentari riuniti nell’ex cinema Capranica, proponendo la «candidatura forte» di Franco Marini, già presidente del Senato e membro del partito con un
cursus honorum di alto profilo. Pochi minuti dopo, qualche centinaio di metri più in là, all’ingresso dell’auletta di Campo Marzio dove si tiene la riunione dei suoi gruppi parlamentari, davanti ai cronisti Silvio Berlusconi annuisce convinto: «Il Pdl voterà per Marini. È una scelta positiva e non è una sconfitta per noi. Non è una persona di centrodestra, ma è serio ed ha sempre dimostrato di essere
super partes». Dunque, il patto fra Pd e Pdl esiste, ma l’estenuante vigilia dell’elezione del capo dello Stato sarà ricordata come una di quelle giornate da far tremare le vene ai polsi anche ai "veterani" della prima e seconda Repubblica. Sin dal primo mattino, le diplomazie "intermedie" di Pd e Pdl cedono il passo ai due leader, che trattano di persona in una ridda frenetica di telefonate e
pour parler.Nel pomeriggio, secondo alcune voci, Bersani presenta una rosa di candidati al Cavaliere, che però prende in considerazione solo alcuni petali Giuliano Amato, Massimo D’Alema e Franco Marini. Più tardi, il Pd smentirà con una nota: «Nessuna rosa. Si ragiona da giorni con tutte le forze parlamentari per arrivare ad un nome largamente condiviso». Ma fonti vicine al leader del Pdl riferiscono di un ultimatum rivolto dal segretario del Pd: se non si concorda su Marini, da eleggere ad ampia maggioranza nei primi tre scrutini, proporremo Sergio Mattarella e comunque si aprirebbe il campo pure a Romano Prodi. Oltre al Professore, il giudice costituzionale, più volte parlamentare Dc e poi nell’Ulivo, è sgradito al Cavaliere (memore di quando, nel 1990, si dimise da ministro Dc contro l’approvazione della legge Mammì). Così, la decisione è presa e potrebbe aprire la via anche ad un nuovo incarico a Bersani per un governo di larghe intese. A suggellare l’accordo, potrebbe esserci anche la nomina a segretario generale della Presidenza della Repubblica di una figura di «garanzia» per il Pdl come Gianni Letta. E d’accordo sarebbe anche la Lega, pur annunciando ufficialmente che il primo voto lo darà a Manuela Dal Lago. Nel Pd, l’
endorsement di Bersani per Marini non è del tutto condiviso: lettiani e franceschiniani l’appoggiano, renziani e prodiani non la mandano giù. Anche Sel, con Nichi Vendola, prende tempo e si riunirà stamani. I voti del M5S andranno invece al giurista Stefano Rodotà mentre Scelta civica avanza dubbi sul profilo «internazionale» del candidato: «Votare Marini? Che almeno sia Valeria - ironizza Andrea Romano -. Ho molte perplessità su una scelta non abbastanza innovativa». In ogni caso, il voto segreto e lo spettro dei franchi tiratori non renderà semplice trovare i 672 voti necessari ad un’elezione lampo. E Berlusconi lo dice chiaramente: «Non è detto che si faccia al primo voto». Se poi non avvenisse entro il terzo scrutinio, potrebbero riprendere quota altri nomi, come quello di Massimo D’Alema, comunque non inviso al Pdl, o di
outsider come il giudice della Consulta Sabino Cassese e l’ex Fernanda Contri.