Non si fa soverchie illusioni, Giorgio Napolitano, sulla possibilità che il lavoro dei saggi possa consentirgli il miracolo di fine mandato: un governo in carica operativo da dare al Paese entro la fine del settennato. Ma almeno potrebbe, nei suoi auspici, preparare il terreno per il suo successore.E mentre è già partito il tiro al bersaglio contro il ruolo inedito dei saggi chiamati a dialogare a nome di partiti che non dialogano, Napolitano, pur deluso, continua sulla sua strada. Oggi li motiverà (avendo ottenuto da tutti i dieci piena disponibilità) ad andare avanti mettendo in cima il bene del Paese rispetto agli interessi di parte. Il nodo dei nodi resta la riforma della legge elettorale che gli sherpa delle forze politiche avevano abbandonato a se stessa alla vigilia del voto. I veti e le diffidenze dei leader avevano avuto il sopravvento su un’intesa di fatto già trovata fra i 5 responsabili dei partiti. E ora il coinvolgimento fra i saggi di Luciano Violante e Gaetano Quagliariello che erano i principali artefici di quell’intesa, rappresenta il tentativo di ripartire da quelle soluzioni condivise: riduzione del numero dei deputati da 630 a 500, e dei senatori da 315 a 250, limiti al bicameralismo perfetto, sfiducia costruttiva, possibilità per il premier di chiedere al presidente della Repubblica di sciogliere le Camere o revocare singoli ministri. Infine la legge elettorale, sulla quale era prevalsa l’idea di un sistema tedesco rivisto con correttivi maggioritari, con collegi e uno sbarramento più alto rispetto di quello attuale. Era prevista anche l’introduzione il ruolo del Senato federale.Per il professore Michele Ainis, «volendo Monti potrebbe fare un decreto di due righe con cui stabilisce che abroga il Porcellum e rivive il Mattarellum». Il supporto a tale tesi verrebbe dai ripetuti interventi della Consulta che indicavano la necessità di intervenire su precise incongruenze dell’attuale sistema di voto. L’uovo di Colombo potrebbe essere quindi il ritorno al sistema precedente come male minore. Persino Beppe Grillo potrebbe convenire, avendo evocato il Mattarellum, proponendo di «tornare subito alla legge elettorale precedente».Una legge che ha funzionato bene dal ’93 al 2005 e che è stata modificata con una norma di cui non va orgoglioso neanche il suo materiale estensore Roberto Calderoli, avendola definita lui stesso una "porcata", ma cha ha finito per convincere tutti i leader che si sono intestati così un potere assoluto di indicazione dei parlamentari. L’architrave della legge di Sergio Mattarella poggia sul sistema maggioritario a un turno per il 75 per cento dei seggi(sulla base di collegi uninominali) e per il 25 per cento sul proporzionale (in un collegio unico nazionale).Ma la tesi piuttosto forte di Ainis viene confutata da un altro costituzionalsita, peraltro fra i dieci saggi, come Valerio Onida. Il presidente emerito della Consulta pur convenendo che «il tema della legge elettorale è prioritario, perché si tratta di una legislatura fragile che potrebbe finire prima», giudica «singolare e incredibile l’ipotesi che «un governo per l’ordinaria amministrazione possa varare un decreto sulla legge elettorale»Altra priorità istituzionale i costi della politica. Mentre, sul versante economia, Filippo Bubbico, senatore del Pd e saggio della commissione economia-Europa parla della necessità di assicurare «il rilancio dell’economia e la crescita, la fine di una recessione che sta provocando danni irreversibili». Oggi, ricorda, dal governo «ci sarà l’ok al Def che renderà possibile il decreto per i pagamenti della P.A, immettendo nel circuito economico 40 miliardi». Ma Bubbico smentisce l’imminenza di due misure date per probabili. Il rinvio della Tares, (la nuova tassa sui rifiuti), sulla quale, rileva, «c’è un orientamento negativo in Parlamento». E l’aumento dell’Iva a luglio, che Bubbico spera ancora si possa scongiurare «per evitare ulteriori aggravamenti nella contrazione dei consumi».