Pietro Parolin - Ansa
Non ci sono ancora date fissate per un eventuale processo in merito alle vicende finanziarie sulle quali stanno indagando i magistrati. Lo ha detto ieri il cardinale Pietro Parolin, in alcune dichiarazioni a margine di un evento al quale il segretario di Stato ha preso parte. «Non sono al corrente di date fissate – ha detto ai giornalisti il porporato –. Immagino che si arriverà anche a una conclusione dell’indagine e che a quel punto il promotore di giustizia farà le sue richieste in base agli elementi».
Interpellato poi sulla possibilità che il cardinale Angelo Becciu, privato lo scorso 24 settembre del suo incarico in Curia e delle prerogative cardinalizie, vada a processo, Parolin ha risposto: «Non lo so». Parolin, nel breve scambio con i giornalisti, ha anche parlato della sua «sofferenza» per gli scandali.
«Quello che sta succedendo e le varie responsabilità che saranno accertate dall’autorità giudiziaria non possono che creare disorientamento », ha sottolineato. Quanto invece alla sua uscita dallo Ior, ha spiegato che si è trattato di un normale «avvicendamento ». «Il Santo Padre – queste le sue parole – ha ritenuto che altri cardinali potevano svolgere quel compito». Continua intanto lo stillicidio di rivelazioni, tratte da documenti che fanno parte dell’inchiesta o addirittura da trascrizioni di chat private. Fonti giornalistiche e d’agenzia riferiscono ad esempio di uno scambio di messaggi tra monsignor Alberto Perlasca, all’epoca Capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato vaticana e il cardinale Becciu. In particolare – riferiscono Repubblica e AdnKronos –, il 20 dicembre del 2018 Becciu (che già non era più sostituto della Segreteria di Stato) scrisse a Perlasca di inviare i soldi a Cecilia Marogna, incaricata di mediare per la liberazione di una suora colombiana rapita nel 2017 in Mali, e di farlo suddividendo la somma in diverse tranche. Nelle chat, sempre stando alle stesse fonti, Becciu specificò che la sua richiesta era stata anche approvata da papa Francesco.
Dalle carte dell’inchiesta, pubblicate ieri dalle fonti giornalistiche e di agenzia, emerge che la Marogna, secondo gli inquirenti vaticani, «agì da pubblico ufficiale». Nell’ordinamento vaticano, ricordano infatti gli inquirenti d’Oltretevere, non esiste la differenza tra incaricato di pubblico servizio e pubblico ufficiale e qualsiasi persona titolare di un mandato amministrativo «assume la qualifica di pubblico ufficiale». E’ questa dunque la circostanza giuridica che dà fondamento alla contestazione, nei confronti di Cecilia Marogna, del reato di peculato, oltre all’appropriazione indebita aggravata.
L’inchiesta, si spiega ancora nelle carte, ha avuto origine da una segnalazione della Polizia slovena, insospettita da una serie di movimentazioni anomale registrate su due conti intestati alla Logsic Doo, la società con sede a Lubiana di cui Marogna è amministratrice. Dopo la segnalazione, la Gendarmeria Vaticana, attraverso accertamenti bancari, ha rilevato che i due conti correnti «risultavano alimentati da nove bonifici emessi dalla Segreteria di Stato tra il 20 dicembre 2018 e 1’11 luglio 2019 per un totale di 575.000 euro» e che molte delle movimentazioni eseguite «riguardavano spese non compatibili con l’oggetto sociale della società».