«Non ce la facciamo più con i costi. Ora sia lo Stato a gestire questa scuola». Sono in aumento i gestori che si trovano davanti alla scelta di chiudere o trasferire i propri istituti (e studenti) allo Stato. La vera novità, però, è che questa frase la pronunciano sempre più spesso amministratori comunali in particolare per le materne. Già, perché anche le scuole comunali sono paritarie (secondo la legge 62/2000) e vivono le stesse vicissitudini degli istituti paritari retti da congregazioni religiose, parrocchie, o associazioni di genitori, per fare qualche esempio. Eppure in una parte di opinione pubblica le materne comunali sono «pubbliche» mentre quelle aderenti alla Fism (la federazione che ne riunisce quasi ottomila) sono «private». Niente di più sbagliato: entrambe rientrano nella categoria di materne paritarie.Un fenomeno in corso già da qualche anno, ma che nel tempo sta assumendo proporzioni sempre più allarmanti. Se ne sono accorti anche al ministero dell’Istruzione. «In questi ultimi tre anni stiamo assistendo a un crescente numero di Enti locali che chiedono allo Stato di farsi carico della loro scuola – dice Gabriele Toccafondi, sottosegretario al dicastero di viale Trastevere, con delega per la parità scolastica –. E tutto questo rappresenta un costo elevato per lo Stato stesso, che non ha molti fondi a disposizione per questi passaggi, ma che nel contempo non può opporsi all’iter stesso». Dati precisi non ci sono ancora, ma alcuni esempi si possono fare. «In questi anni circa il 15% delle materne comunali di Firenze sono passate allo Stato – spiega il sottosegretario –, mentre a Torino è stata siglata un’intesa per il progressivo passaggio di materne comunali allo Stato alla media di una o due l’anno. A Milano la richiesta è arrivata per la scuola San Giusto nota per i suoi progetti sperimentali. La motivazione è sempre di natura economica». E anche il fatto che la progressiva statalizzazione abbia conosciuto una impennata in questo ultimo triennio, dimostra come i tagli e il faticoso iter di recupero dei fondi (mai al completo) stiano lasciando vittime sul campo. «Se le comunali hanno la possibilità di un passaggio allo Stato – riconosce Toccafondi –, per quelle paritarie di congregazioni e del privato sociale l’unica alternativa è purtroppo la chiusura».Se in questo scenario drammatico per le paritarie aggiungiamo alcune cifre dell’anagrafe delle stesse scuole, scopriamo che i costi per lo Stato rischiano di diventare salatissimi. Infatti sulle 13.932 paritarie di ogni ordine e grado censite nel 2012/2013, ben 2.400 appartengono a Enti locali (di queste 1.700 sono comunali) e altre 5.300 sono di proprietà di cooperative sociali, associazioni, fondazioni, onlus e privati. Dunque le paritarie di gestione diretta di congregazioni e parrocchie sono 6.200 «meno della metà dell’intera anagrafe» sottolinea il sottosegretario Toccafondi. Un dato che «vuole fare chiarezza su stereotipi e pregiudizi ideologici» che spesso circolano su questo mondo, tanto da far dire ai più esagitati che finanziare una paritaria significa dare soldi alle «scuole dei ricchi e dei preti». «Mi pare che le cifre parlino chiaro» commenta Toccafondi, dimostrando «come più del 50% delle paritarie è di Enti locali o privato sociale».E anche dal fronte sindacale cominciano a sollevarsi voci in difesa delle scuole paritarie, soprattutto per denunciare il rischio della perdita di numerosi posti di lavoro. «Non si può parlare di tagli “cattivi” nella scuola quando riguardano quella statale e di tagli “buoni”, quando toccano le paritarie – denuncia Francesco Scrima, segretario nazionale della Cisl-scuola – perché si travisa la realtà con forzature ideologiche prive di senso e gravide di rischi», in primo luogo le ricadute sull’occupazione «in una realtà dove sempre più spesso si rende necessario ricorrere ai contratti di solidarietà».