Lezione via web. Ma c'è chi è rimasto senza scuola per la mancanza di strumenti e banda larga - Ansa/Epa
Il centro storico di Ancona presenta una scia inquietante di serrande chiuse. Negozianti che hanno deciso di non riaprire, perché «non ce la facciamo» o «adesso non ne vale la pena»; altri che hanno rimandato la decisione all’autunno, sperando che non arrivi una nuova ondata. È amaro questo tour della sopravvivenza nell’era Covid-19. Ci accompagna Claudio Grassini che, da poco in pensione dopo una vita passata nei servizi sociali e educativi comunali, con una lunga esperienza di volontariato in Africa, da qualche tempo cura il Centro Studi della Caritas diocesana, con un occhio particolarmente attento alle povertà emergenti. «I negozi chiusi, esordisce, sono spie che si accendono in un sistema malato».
Ma ci sono altre spie, per così dire fulminate, o proprio senza lampadine, che comunque emettono segnali precisi, inequivocabili. «Una di queste è legata a una seria povertà emergente, quella educativa, che sta esplodendo in tutta la sua drammatica evidenza e si lega a una preoccupante evidenza del digital divide. Si tratta di un fronte del tutto inaspettato che ha richiesto nuove forme di intervento».
I numeri non ci sono, ma le storie raccontano tutto. Mario ha 15 anni e l’interruzione della scuola in presenza gli ha creato grossi problemi. Ha, come tutti i preadolescenti, un cellulare, ma a casa, padre operaio, madre casalinga, un computer non ce l’hanno, la linea adsl nemmeno, figuriamoci la banda larga. Lucia, che di anni ne ha 10, senza tecnologie non ha mai più potuto rivedere le sue maestre. Gianni, ultimo di tre fratelli (uno in terza media, uno maturando), ha lasciato smartphone e tablet agli altri: s’è scelto così, prendere o lasciare. Il disagio esiste, eccome. Così la Caritas si è rimboccata le maniche, con gli aiuti rivolti ai bambini e ragazzi che non avevano mezzi e strumenti per seguire le lezioni attraverso la didattica a distanza.
«Abbiamo chiesto computer e dotazioni tecnologiche funzionanti e le abbiamo offerte a chi ce le chiedeva, osserva Grassini, ma immaginiamo anche che molti, di fronte a queste difficoltà, siano rimasti in silenzio». C’è stato anche un movimento spontaneo di solidarietà sociale tecnologica, che ha viaggiato sul tam tam delle conoscenze personali. Emilio ha 17 anni, frequenta una parrocchia del centro: «A casa avevo un vecchio pc in disuso ma funzionante, ho saputo che ce n’era bisogno, non ho avuto problemi a prestarlo».
È tuttavia, una goccia nel mare del bisogno: «Questa nuova povertà – sottolinea Grassini – è difficilmente valutabile a occhio nudo, ma poi, alla lunga, emerge prepotente nella qualità delle relazioni fra persone, e rischia di esplodere come una bimba nella dinamica della crescita delle nuove generazioni». La pandemia, naturalmente, non ha colpito tutti allo stesso modo: ha aggravato fragilità esistenti, ma ha anche bastonato famiglie che stavano bene, in cui entrambi i coniugi non sono dipendenti, ma lavoratori autonomi in settori che si sono dovuti fermare per diversi mesi.
«Qualcuna ha resistito, altre no. C’è chi non ha avuto remore a chiedere aiuto, chi per pudore non l’ha fatto e non ha neanche alle spalle una rete familiare di sostegno». E in mezzo ci sono finiti i più piccoli, con la quotidianità stravolta e senza strumenti per costruirsene una nuova.
«L’emergenza – conferma Donatella Crocianelli, storica coordinatrice della Caritas osimana – è arrivata inaspettata, ci ha travolti in un vortice di richieste. Ci ha anche costretti a confrontarci con le nostre paure, a rivedere i nostri servizi: abbiamo sospeso le lezioni della scuola di italiano, il laboratorio di cucito Hobbysognodite e la distribuzione del vestiario, mentre abbiamo riorganizzato il Centro di Ascolto e l’Emporio della Solidarietà».
Anche qui, come in altre città, le attività rimaste comunque sempre aperte sono state svolte in sicurezza, con i protocolli previsti. Per l’ascolto – parlano alcune volontarie, Stefania, Paola e Olimpia – è stato utilizzato il telefono, «un canale, in questa fase, essenziale per raggiungere le persone sole e anziane. L’Emporio ha ampliato di un giorno l’apertura e introdotto l’accesso per appuntamento, per evitare code ed assembramenti. Abbiamo consegnato 1.200 pasti a domicilio. La mensa serale ne ha erogati 13.000».
«L’altro problema – osserva ancora Grassini – è stato il limite imposto a tanti volontari. Abbiamo tanti ragazzi, ma anche tanti anziani che ci dedicano il loro tempo. Sono rimasti tutti a casa. Ha funzionato bene invece la rete delle Caritas parrocchiali. Il loro supporto è stato essenziale soprattutto nelle consegne delle spese a domicilio, che sono state 1.600 a favore di 600 nuclei familiari. Nella sola Osimo ad esempio si è passati in poche settimane da 80 a 134 spese al mese per altrettante famiglie».
Persone spesso mai incontrate prima, con prevalenza di italiani. Qual è la stima dei “nuovi poveri”? «Noi – risponde Grassini – possiamo fare riferimento alle persone mai incontrate prima, circa 550 persone (+20%), con un’età media che sfiora i 50 anni, che sono quindi nel pieno dell’età lavorativa. Sono prevalentemente di origine italiana (53,6 %)».
Tra i motivi principali la caduta di reddito e la perdita del lavoro. La crescita esponenziale della domanda di aiuto è infatti solo un aspetto del problema, costituito anche dal cosiddetto sommerso, soprattutto nelle città. Persone sole (genitori separati) e nuclei familiari in situazioni di disagio, senza punti di riferimento.
«Lo sforzo vero, accanto alla necessità di fornire risposte alle domande, è stato ed è tutt’ora quello di dare un volto a protagonisti di tante storie di persone che vivono l’incubo di vedere svaniti i progetti del loro futuro. Abbiamo avuto richieste d’aiuto persino dall’imam di una moschea. Questa esperienza ha reso necessario rafforzare la rete di collaborazione con i tanti soggetti presenti sul territorio. Si è così creata una rete di relazioni che ci ha consentito di conoscere nuove persone, assicurandogli un aiuto, una vicinanza e anche un conforto di migliore qualità».
Tante le realtà associative e le singole persone impegnate in città: l’associazione "Qui ed Ora", che ha organizzato un supporto a favore di 3 donne in forte disagio psicologico, il gruppo della Protezione Civile "Valco", che con Caritas ha sperimentato il “pranzo diffuso” (consegna di 54 pasti completi a 19 famiglie e 50 pizze donate da vari bar, ristoranti, pizzerie e supermercati della città), il "Punto Baratto", che ha donato giochi e libri per alleggerire il periodo di isolamento di tanti dei bambini». Commovente, infine, l’esperienza con il Circo Maya Orfei bloccato per mesi nel capoluogo marchigiano: la Caritas ha aiutato anche questa realtà, che al primo spettacolo utile, il 2 luglio, ha voluto offrire ai volontari una targa di ringraziamento. E porta il nome di Ancona la piccola zebra nata durante la pandemia…