La manifestazione del Giovani per la Pace, organizzata l'8 aprile scorso, dalla Comunità di Sant'Egidio, «Non possiamo restare in silenzio» - Siciliani
I 108 giorni di guerra che hanno sconvolto l’Ucraina e messo in crisi l’economia mondiale non hanno ancora messo all’angolo il movimento per la pace. Né in Italia, né in Europa. Quattro gli appuntamenti in rosso sull’agenda pacifista: 18 giugno a Roma, 24 giugno e 14 luglio a Odessa, 11 luglio a Kiev. Un’azione tenace e ostinata, anche se in buona parte ignorata dai grandi mezzi di informazione.
Dopo tre mesi e più di mobilitazione e grandi manifestazioni, il popolo pacifista è ancora attivo sui territori, con una serie di numerosi incontri e iniziative capillari. Un’attività dal basso, che fa da supporto a importanti appuntamenti nazionali. Dopo l’incontro a Bruxelles delle organizzazioni per la pace, organizzato il primo giugno dalla rete di Solidar – gruppo di Ong europee che si occupa di cooperazione, aiuto umanitario, servizi sociali e formazione e collabora con i sindacati –, il 18 giugno si replica a Roma su scala nazionale. Ospitati nella sede dell’Agesci, si incontreranno le oltre 60 associazioni di Rete italiana Pace e Disarmo, più altre dodici organizzazioni, per discutere su come "Costruire un’Europa di pace". L’incontro sarà dalle 14 alle 18 in largo dello Scautismo 1, anche in streaming: «Non è più sufficiente dichiararsi per la pace, ma serve discutere su come agire».
Subito dopo partirà la prima di due nuove carovane della Pace #StopTheWarNow con destinazione Odessa, dal 24 al 27 giugno, poi seguita da quella dal 14 luglio al 18 luglio. L’iniziativa, aperta il 1° aprile dalla prima carovana della pace, trasportò con 70 automezzi, a Leopoli, 30 tonnellate di aiuti, riportando in Italia 300 profughi. Due le richieste delle carovane di giugno e luglio, 25 mezzi e un centinaio di persone ciascuna: «Riapertura del porto di Odessa per l’esportazione di grano, perché nessuno ha il diritto di far morire nessun altro di fame», e poi «aiuti umanitari e fine dell’assedio e dei bombardamenti su Mykolaiv».
Per l’11 luglio poi, è prevista la mobilitazione che vuole portare 5mila persone a Kiev, promossa da Project Mean, Movimento europeo di azione non violenta. «Siamo convinti – dicono i promotori – che l’azione armata può fermare o sconfiggere l’aggressione, ma non cambiare il contesto che l’ha resa possibile, mentre una massiccia presenza internazionale nonviolenta può creare le condizioni per un futuro che escluda la guerra nella risoluzione dei conflitti».
Il movimento per la pace da mesi dunque si mobilita per far ascoltare una voce diversa da quella delle armi. Subito dopo l’invasione russa del 24 febbraio, la Comunità di Sant’Egidio si era mobilitata tra veglie di preghiera, flash mob dei Giovani per la pace, fino alla prima manifestazione a piazza Santi Apostoli a Roma, già il 25 febbraio.
Poco dopo, il 5 marzo, piazza San Giovanni in Laterano a Roma aveva accolto decine di migliaia di persone per la manifestazione nazionale promossa dalle maggiori realtà dell’associazionismo, assieme a Cgil e Uil. E dopo la già citata carovana della pace del 1° aprile, c’era stata, il 24 aprile, l’edizione straordinaria della Marcia della Pace, decine di migliaia di persone a piedi da Perugia ad Assisi.
«Il movimento per la pace è rimasto unito – rivendica Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete pace e disarmo – nonostante la fatica di andare controcorrente, le derisioni e le accuse inaccettabili di "putinismo". C’è un arcobaleno di realtà che lavora sul territorio con le associazioni, i sindacati, le parrocchie». Se l’azione pacifista non è riuscita a rallentare il massiccio ricorso alle armi, «è perché non siamo noi a decidere. Ma bisogna prendere atto che le azioni messe in campo dai governi hanno solo acutizzato la situazione, reso "endemico" il conflitto, rafforzato Putin sul fronte interno e sul campo».
I pochi tentativi di ridare spazio alla diplomazia, come il Piano di pace in quattro punti del governo italiano, «hanno ricalcato quattro degli otto punti del piano che avevamo presentato fin dal 24 febbraio». Già allora i pacifisti avevano chiesto la cessazione degli scontri, la neutralità dell’Ucraina, l’attuazione degli accordi di Minsk su autonomia del Donbass e rispetto della popolazione russofona, l’avvio di trattative per la sicurezza reciproca dell’Unione europea e della Russia.
«Eravamo stati ridicolizzati, accusati di essere filorussi. Poi quegli stessi punti, presentati a maggio dal premier Mario Draghi e dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio – ricorda Vignarca –, non erano più utopie da anime belle, ma proposte apprezzate anche dalle Nazioni Unite e dalla Francia».