giovedì 17 gennaio 2013
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​«Per aiutare la famiglia dobbiamo sottrarla allo scontro ideologico nel quale è stata costretta: una visione per cui o sei a favore dei diritti individuali oppure sei un cattolico intransigente. Ma i figli li fanno i credenti e i non credenti, e la realtà è che in Italia in fatto di sostegni alla natalità c’è uno squilibrio tale che assegna al nostro Paese un futuro di declino obbligato». Oscar Giannino, giornalista ed economista, è il candidato premier di «Fare per fermare il declino», lista che alle prossime elezioni corre da sola. Alla voce «Fisco e famiglia» il suo programma si nutre di cifre e pragmatismo.Cosa non va del sistema attuale?L’Italia destina al welfare meno della metà della spesa pubblica. Di questa metà solo il 4% va alla famiglia, contro una media europea del 7-8%. Invece siamo sopra le media in quanto a spesa previdenziale, il 2,8% in più. Gli effetti di questo squilibrio si vedono nella curva demografica, che tutti gli economisti sanno essere una delle leve fondamentali per lo sviluppo. Sulla famiglia oggi va fatta una riflessione economica.
Quali priorità indicate?Per prima cosa dobbiamo chiederci quali incentivi dare per diminuire il contrasto che lo Stato esercita verso chi fa o vuole fare figli. Il problema italiano è evidente: se prendiamo i quattro decili delle famiglie che stanno peggio, in Francia la pretesa fiscale dello Stato per chi ha due figli è più bassa del 40% rispetto all’Italia, inferiore del 50% al terzo figlio. Il secondo scandalo italiano da affrontare è la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, anche perché sappiamo che dove questa è maggiore la curva demografica è più alta.A che tipo di soluzioni pensate?A differenza dei Paesi meno ostili alla natalità, in Italia il soggetto tributario non è la famiglia, ma il singolo contribuente. Si tratta di una scelta sbagliata del legislatore, perché nella nostra società è la famiglia la prima cellula integratrice dei redditi. Potendo cambiare questa impostazione si dovrebbe passare a tappe graduali, e partendo dai redditi bassi, a un sistema di quoziente familiare. Se questa rivoluzione non fosse possibile, allora andrebbero triplicate le detrazioni per i figli a carico.Dato che si tratta di un punto di Pil almeno, circa 15 miliardi, dove pensa di trovarli?Tra molte strade possibili ne indico tre. Ogni anno lo Stato dà 5 miliardi alle Poste perché garantiscano il servizio universale. È ancora una priorità? Diamo quei soldi alla famiglia e in cambio concediamo alle Poste la piena licenza bancaria. Una cifra di poco superiore va alle Ferrovie dello Stato, e se dovessi scegliere tra le famiglie e l’apertura della concorrenza nelle tratte locali non avrei dubbi. Siamo già a due terzi dell’obiettivo. Poi c’è quasi un punto di Pil che si perde nelle diverse forme di incentivi alle imprese dati dalle Regioni, aiuti spesso a fondo perduto e dei quali si perdono le tracce. Diminuiamo questo spreco di un terzo, e ce l’abbiamo fatta. È solo questione di volontà.Nel vostro programma si parla anche di intervento sulla previdenza...Il welfare va ricalibrato incentrandolo sulle vere vittime: la famiglia, le piccole imprese, i giovani e le donne. Le ultime riforme hanno stabilizzato la crescita dei costi previdenziali, ma la spesa resta al 16% del Pil, quasi tre punti più della media Ue. Ora, lo 0,4% dei pensionati si porta a casa il 12-15% del totale della spesa previdenziale: non sarebbe uno scandalo intervenire sulle pensioni alte erogate ancora col sistema retributivo, cioè gli assegni oltre 4.000 o 4.500 euro.Promettere per la famiglia non è troppo facile?Sulla famiglia, come sul debito e le tasse, il centrodestra ha fallito. Tremonti ha prodotto zero. Il fatto è che certi temi portano voti facili, sia che si parli di famiglia società naturale definita dalla Costituzione, sia che si conduca il dibattito nell’ambito dei diritti civili. Lo scontro ideologico e sui valori lo comprendo, ma umilmente considero che non pone mai al centro il tema dello Stato che contrasta la natalità o la conciliazione tra famiglia e lavoro. Negli ultimi sei anni, tra i governi Berlusconi e Prodi, le famiglie costrette a intaccare i risparmi per arrivare a fine mese mantenendo lo stesso tenore di vita sono passate dal 12 al 32,8%. Questo è un segno reale di forte sofferenza del Paese. Al welfare serve una rivoluzione, per rilanciare la fecondità e invertire la curva demografica.
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