Il mondo delle organizzazioni non governative, anche quelle vicine al mondo cattolico, promuove con riserva la riforma della cooperazione allo sviluppo. Ora ne attende al varco decreti attuativi e regolamenti, necessari a rendere operativa la riorganizzazione normativa del settore. Perché ci sono ancora aspetti delicati da chiarire, come quello dell’apertura al mondo profit delle imprese, innovazione carica di opportunità come di rischi. Dopo l’approvazione definitiva di una riforma attesa per 27 anni, il sì venerdì scorso in sede deliberante della commissione Esteri del Senato, le organizzazioni della società civile impegnate nei Paesi in via di sviluppo confermano la loro vigilanza attiva. Perché le grandi opportunità messe nero su bianco non restino sulla carta. Molte le novità di rilievo della riforma. Tra le più rilevanti c’è l’istituzione di un viceministro per la Cooperazione, all’interno del ministero degli Esteri. Lo stesso dicastero cambia nome e diventa «degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale». Viene poi creato un Comitato interministeriale assieme a un’Agenzia italiana per la cooperazione, che avrà autonomia organizzativa, regolamentare, amministrativa, patrimoniale, contabile. La riforma prevede anche la creazione di un "braccio finanziario", affidato alla Cassa depositi e prestiti, con il compito di convogliare in Italia aiuti europei, migliorare il coordinamento alle iniziative finanziarie delle banche e dei fondi internazionali multilaterali. Uno strumento finora assente in Italia, ma non nei principali Paesi Ue. Ecco alcuni pareri su questa riforma: CARITAS «Adesso fondi e scelte che la mettano al centro» «Il metodo con cui è stata affrontata questa riforma è sostanzialmente positivo, coinvolgendo la base. Così come è positiva la giusta determinazione che c’è stata per portare a casa la riforma, dopo i tanti tentativi a vuoto di questi anni». Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana e responsabile dell’area internazionale, ha collaborato al contributo progettuale messo in atto assieme alle fondazioni della Cei, Migrantes e Missio, e alla Focsiv. La stessa Caritas è riconosciuta dal ministero degli Esteri come ente di cooperazione allo sviluppo. «Ora però bisognerà prestare grandissima attenzione ai regolamenti attuativi e alle politiche di implementazione», avverte Beccegato. Da chiarire in particolare ci sono «il ruolo del volontariato, cioè il rapporto tra profit e non profit»; poi come verrà declinato «il concetto di sussidiarietà, ovvero come saranno considerate le ong, la società civile nella collaborazione, sia coi governi che multilaterale». Ma la cooperazione «ha anche bisogno di nuovo ossigeno, cioè di fondi e di scelte che la pongano in posizione di centralità nella politica estera, perché assuma realmente un ruolo protagonista». Il rischio altrimenti, avvisa la Caritas, «è che un impianto positivo sia svuotato "de facto"». FOCSIV «Recuperati i concetti di volontariato e dono» C’è un aspetto della riforma che piace ad Attilio Ascani, direttore generale di Focsiv, federazione di 70 ong di ispirazione cristiana: «Che sia stato recuperato il concetto di volontariato e di dono, inizialmente considerati come qualcosa di "vecchio"». Microcredito o banche dello sviluppo «non sempre sono efficaci in situazioni di povertà estrema». Bene poi la nuova Agenzia, «ma bisognerà vigilare sui rischi di sovrapposizione di compiti con la vecchia Direzione generale per la cooperazione, che sopravvive». Fondamentale, per la Focsiv, sarà «la coerenza tra le politiche di sviluppo, altrimenti scelte politiche in altri settori vanificano la nostra cooperazione». Un esempio? «In passato l’Italia ha promosso programmi di sviluppo agricolo in Senegal, oggetto però di dumping dall’Ue o dalla stessa Italia: alla fine per loro era più conveniente importare pomodori in scatola dall’Italia invece che coltivarli». Attenzione poi all’inclusione del settore profit tra gli attori della cooperazione: «Piccola e media impresa saranno importanti per la creazione di posti di lavoro in Africa. Ma se si tratta di grandi imprese che vogliono esportare, non chiamiamola cooperazione. Ci sono ambiguità da chiarire. L’allarme lanciato su "Nigrizia" da padre Alex Zanotelli non è infondato: è storia d’Italia lo sperpero di centinaia di miliardi negli anni ’80 del craxismo». VIS «Rinnovato un sistema bloccato da decenni» La riforma rinnova «un sistema bloccato, da decenni, grazie a modifiche importanti: il viceministro come soggetto interlocutore, il Comitato interministeriale di coordinamento delle politiche, l’Agenzia tecnica e operativa». Non nasconde la soddisfazione Gianluca Antonelli, direttore dei programmi del Vis, l’ong di cooperazione del mondo salesiano. «Il substrato culturale di questa riforma è stato mutuato in gran parte dalle visioni più recenti del mondo della cooperazione, col superamento della logica dell’aiuto pubblico, in favore di un partenariato con i Paesi in via di sviluppo ma anche con le società civili». Però, avverte, «ci sono nodi che andranno sciolti: la cooperazione rischia di rimanere subordinata a scelte di politica estera anche in contrasto con la logica dello sviluppo». Punto delicatissimo è l’apertura alle imprese: «La riforma apre in modo netto al privato, che però non è assimilabile a soggetti come ong, università, associazioni che promuovono uno sviluppo umano e sostenibile, non basta appellarsi agli standard della responsabilità sociale di impresa, è tutto da chiarire». Ultima nota, l’introduzione della Cassa depositi e prestiti: «Una novità di cui non s’era parlato nel cammino preparatorio, arrivata solo al traguardo». Insomma: «Sembra strano, ma il momento più delicato arriva ora: l’attuazione della legge non dovrà tradirne i principi». CINI «Stabilire modalità di apporto privato profit» «Dopo tre tentativi in sei diverse legislature finalmente la nuova legge è stata approvata». Positivo il commento del Cini, il Coordinamento italiano network internazionali che raccoglie cinque importanti ong come ActionAid, Amref, Save the children, Terres des hommes e Vis. La portavoce Maria Egizia Petroccione riconosce che «molte delle proposte delle ong sono state recepite». Il Cini indica tra le altre la coerenza delle politiche di sviluppo, il «forte riferimento politico» del viceministro "ad hoc", «il potenziamento dei poteri di indirizzo e controllo del Parlamento», il Comitato interministeriale, la nuova Agenzia «competente ed efficiente», la redazione di un «documento di programmazione e indirizzo triennale». Bene, ma... «Alcune fragilità e alcuni punti meriteranno molta attenzione nella fase di normazione secondaria», sottolinea anche il Cini. Prima di tutto «le modalità per la partecipazione del privato profit andranno stabiliti in modo molto chiaro e stringente». Il rischio è che la cooperazione venga usata «per finalità improprie», assieme al «ritorno dell’aiuto "legato"». Ancora: i rischi di concorrenza tra Agenzia e Direzione, la mancata creazione di un Fondo unico, la concorrenza tra l’Agenzia, «abilitata a raccogliere fondi», e la società civile. «E non vorremmo che l’enfasi sulla necessità di attrarre fondi privati fosse una scusa per non incrementare o peggio diminuire le risorse pubbliche».
Le Ong: la riforma non resti sulla carta. Tra le novità un viceministro ad hoc. I commenti di Caritas, Focsiv, Vis, Cini.
Dopo 27 anni la nuova legge
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