A metà degli anni Settanta, in un momento altrettanto problematico per la vita civile italiana, don Giussani formulò alcuni giudizi che possono rappresentare anche oggi un contributo per vivere da cristiani nei vari ambiti della società, fino alla politica:1. «Il primo livello di incidenza politica di una comunità cristiana viva è la sua stessa esistenza, in quanto questa implica uno spazio e delle possibilità espressive»; essa, «per propria natura, non chiede la libertà di vita e di espressione come solitario privilegio, ma piuttosto di riconoscimento a tutti del diritto di tale libertà. Quindi, per il solo fatto di esistere, se sono autentiche, le comunità cristiane sono appunto garanti e promotrici di democrazia sostanziale». In questo senso, «la moltiplicazione e la dilatazione di comunità cristiane vitali ed autentiche non può che determinare la nascita e lo sviluppo di un movimento il cui influsso sulla società civile tende inevitabilmente ad essere di sempre maggior rilievo; l’esperienza cristiana diventa così uno dei protagonisti della vita civile, in costante dialogo e confronto con tutte le altre forze e le altre presenze di cui questa si compone».
2. «Una comunità cristiana autentica vive in costante rapporto con il resto degli uomini, di cui condivide totalmente i bisogni, ed insieme coi quali sente i problemi. Per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa, la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea ed un suo metodo d’affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata».3. «Quando dalla fase della sollecitazione e dell’animazione politico-culturale si giunge a quella della militanza politica vera e propria, non è più la comunità in quanto tale ad impegnarsi, ma sono le singole persone che a responsabilità propria, anche se formate dalla vita concreta della comunità medesima, si impegnano alla ricerca di strumenti ulteriori di incidenza politica sia teorici che pratici». Perciò, «non è affatto né corretto né leale l’uso, invalso su molti giornali, di definire “candidati di CL”, “consiglieri comunali di CL” quei militanti del nostro movimento che si sono direttamente impegnati nelle campagne elettorali ed in genere nella militanza politica, come pure − e soprattutto − non è affatto corretto definire “leaders di CL” i dirigenti dei gruppi da essi costituiti».
Giussani concludeva, perciò, che «c’è fra noi tutti in quanto CL, ed i nostri amici impegnati nel Movimento Popolare e nella DC, un’irrevocabile distanza critica», in quanto «se non fosse così, se cioè qualsiasi realizzazione per il solo fatto di essere stata promossa da persone di CL […] diventasse meccanicamente “del movimento”, l’esperienza ecclesiale finirebbe per essere strumentalizzata, e le comunità si trasformerebbero in piedistalli ed in coperture di decisioni e di rischi che invece non possono che essere personali» (L. Giussani, Il Movimento di Comunione e Liberazione. Conversazioni con Robi Ronza, Jaca Book, Milano (1976) 1986, pp. 118-121). Questi spunti, proposti quasi quarant’anni fa da don Giussani, fondatore di CL, ci appaiono quanto mai attuali nel panorama politico italiano di questi mesi e rappresentano, pertanto, ancora il giudizio più lucido e sintetico con cui guardiamo l’evolversi delle iniziative politiche e delle proposte che da esse nasceranno nelle prossime settimane.