giovedì 9 aprile 2015
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Le «parole d’ordine sono meno tasse e più lavoro », sottolinea il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Alla vigilia del varo del Def, previsto domani in Consiglio di ministri, il governo prosegue nella linea di rassicurazione dell’opinione pubblica. A partire dal fatto che la stangata fiscale da 16 miliardi di euro, prevista dalle clausole di salvaguardia delle ultime manovre per il prossimo gennaio, non scatterà. «I rischi saranno eliminati », ha detto Padoan in un’intervista al Tg2 ribadendo quanto già espresso martedì dal premier Matteo Renzi. Il ministro, che si è detto sicuro della promozione da parte della Ue, ha sottolineato soprattutto che la revisione della spesa pubblica (prevista anche per evitare l’aumento dell’Iva) non andrà a impattare sulle prestazioni sociali. «Assolutamente no, la spesa sociale andrà difesa e rafforzata, è una priorità del governo», ha risposto a un domanda sul punto. Nel Documento di economia e finanza vengono fissate le linee guida della politica economia per i prossimi anni, mentre le misure concrete arriveranno a ottobre con la legge di stabilità. L’esecutivo prevede per quest’anno un tasso di crescita dello 0,7%, appena più alto dello 0,6% stimato nell’autunno scorso. Si tratta di una stima «prudenziale», si afferma nel testo, e il governo «non esclude » che nella Nota di aggiornamento di settembre «sia possibile indicare un tasso di crescita più elevato», che «offrirebbe margini più ampi per la riduzione della pressione fiscale ». Per ora infatti, almeno nella bozza del Def in circolazione, il peso del fisco non è previsto affatto in calo. Al contrario, secondo le tabelle, in assenza di interventi salirà dal 43,5% del Pil di quest’anno (stesso dato del 2014) al 44,1% nel 2016 e 2017, mentre nel 2018 la pressione calerà ma restando comunque superiore al livello attuale (44%). La spending review, riattivata nelle ultime settimane dopo l’uscita di scena del commissario Cottarelli, servirà appunto (per circa 10 miliardi) a impedire gli ulteriori aumenti dell’Iva e delle accise e solo in seconda battuta a far scendere le aliquote attuali. Per una riduzione del prelievo bisogna dunque sperare soprattutto in un’accelerazione del Pil. Ipotesi non irrealistica se si pensa che lo stesso Def stima che gli effetti positivi dovuti al calo del prezzo del petrolio, al miglioramento del cambio e alla discesa dei tassi di interessi dovrebbero spingere la crescita dello 0,6% quest’anno. Le riforme strutturali già varate dovrebbero poi a loro volta aiutare la ripresa (con un +1,8% al 2020). In questo contesto una crescita di soli 7 decimali sarebbe deludente.  Comunque il governo prevede un «deciso recupero dell’occupazione nel prossimo triennio». Il quadro programmatico stima il numero delle unità di lavoro in aumento quest’anno dello 0,6%, il che significa una previsione di 140-150mila posti aggiuntivi (numeri da non confondere con le stime dei giorni scorsi sull’attivazione di un milione di nuovi contratti a tempo indeterminato). Nel contempo dovrebbe ridursi il tasso di disoccupazione: dal 12,7% del 2014 si scenderà quest’anno al 12,3% e poi all’11,7 nel 2016 (11,2% nel 2017). Uno dei fronti per recuperare risorse è quello delle detrazioni fiscali. Si punta infatti a razionalizzare quelle esistenti e a evitarne di nuove. A tal fine il Def prevede la redazione di un rapporto annuale sugli 'sconti' del fisco per «identificare» quelli «non giustificati» o «che costituiscono una duplicazione» per «eliminarli o riformarli », fatte salve alcune priorità come le detraioni da lavoro dipendente o per carichi familiari. Per quanto riguarda la riduzione della spesa, nel mirino torneranno le aziende comunali e e gli appalti della Pa, oltre alla spesa per le pensioni di invalidità.
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