Roberta Osculati
E le donne cattoliche nel Pd, cosa dicono della maternità surrogata? Domanda pertinente, specie a Milano, dove il sindaco sostenuto da una maggioranza a trazione dem ha registrato a lungo i bambini frutto di utero in affitto, salvo essere ora stoppato dal prefetto. Davanti al fumo delle polemiche e alle scorciatoie argomentative, Roberta Osculati ha rotto gli indugi: vicepresidente Pd del Consiglio comunale, cattolica che non fa mai mistero di esserlo, ritiene che sia ora di dire una parola chiara sul tema.
Qual è la sua posizione sulla maternità surrogata?
Personalmente non metto in discussione il desiderio né la capacità genitoriale di una coppia nel perseguire la strada che la porta ad avere un figlio. Credo anzi che vada sostenuta la responsabilità genitoriale e apprezzato il valore progettuale che ha l’attesa. Posso essere d’accordo anche che un figlio nasce nel cuore prima che nel corpo per due persone che vogliono vivere una genitorialità consapevole. Tuttavia, la maternità surrogata – lo dice il termine stesso – evidenzia un processo artefatto per realizzare quel desiderio.
Cosa occorre per contrastarla?
Occorre innanzitutto chiamare le cose col loro nome. In questa discussione, viene spesso usata la sigla Gpa, gestazione per altri, che mette l’accento sull’aspetto altruistico, imponendo il paradigma antropologico di un figlio commissionato “da altri”. C’è chi usa il termine maternità surrogata che, nell’uso giuridico, indica il «subingresso del terzo che ha pagato in luogo del debitore». Io preferisco chiamarla utero in affitto: la pratica prevede che la donna metta al mondo un figlio a fronte di un “contratto”. Non serve essere cattolici per riconoscere che questo è sfruttamento (come orami molte storie raccontano), nel senso etimologico del termine, ovvero sottrazione del fructus ventris. Mi si dice che lei lo fa liberamente o addirittura gratuitamente (dietro lauto “rimborso spese”). Ebbene, resta un atto contro il minore e la donna.
Continuare a far nascere bambini con l’affitto del grembo femminile ha determinato una prassi di riconoscimento per tutelare i minori, una sorta di legalizzazione de facto che però perpetua il sistema. È giusto?
Innanzitutto chiariamo che in Italia la pratica dell’utero in affitto è vietata dalla legge 40/2004. Ci sono poi diversi pronunciamenti della Corte Costituzionale che sanciscono che «la maternità surrogata offende la dignità della donna minando nel profondo le relazioni umane». Il problema si manifesta quando una coppia valica i confini nazionali, aggira la legge e torna in Italia con un fagottino che chiede cittadinanza. Specifichiamo che questa pratica è scelta prevalentemente da coppie eterosessuali, quindi non stiamo affrontando un tema che discrimina le coppie omosessuali. Il problema si pone allo stesso modo per tutti coloro che vi fanno ricorso e pretendono un riconoscimento del genitore d’intenzione alla nascita. È un atto improprio ed è preoccupante cercare di imporre con un automatismo un percorso vietato per legge. Questo è il nodo politico e valoriale: pretendere di affermare che quel bambino sia nato da entrambi quei genitori, quando non lo è.
Come se ne esce?
Per tutelare il minore l’ordinamento italiano prevede che il riconoscimento e l’iscrizione all’anagrafe seguano una procedura dedicata attraverso l’adozione speciale, dove il giudice valuta l’idoneità genitoriale caso per caso.
C’è spazio per le sue idee nell’attuale Pd?
La mia non è l’unica voce critica circa l’utero in affitto. In nome dei più profondi valori della sinistra europea, molti all’interno del Partito democratico hanno chiesto di affrontare apertamente il dibattito. Nel suo discorso di insediamento, Elly Schlein ha dichiarato di voler mettere a valore le differenze. Mi preoccupa, invece, che il tema venga dato in pasto alla piazza e che sia affrontato come scontro tra tifoserie. Questo ottiene effetti mediatici, ma resta propaganda se non ha uno sbocco parlamentare e politico. La neo-segretaria ha annunciato di voler presentare una proposta di legge sul tema. Auspico che ci sia spazio per un dibattito serio e rispettoso delle culture e sensibilità diverse.
Il prefetto di Milano ha applicato la legge in vigore, ma si è parlato di diritti calpestati. Quali sono i diritti da tutelare?
Al primo posto per me viene la difesa dei diritti del minore: sebbene il contesto familiare che lo accoglie sia pronto a donargli il massimo bene possibile, il bambino ha diritto alla verità sulla sua storia, indispensabile nella costituzione della personalità. In secondo luogo, tale pratica è alienante per la donna, considerata una sorta di mezzo funzionale al valore di scambio. Il che è anche fonte di disuguaglianza di genere e di sfruttamento, tanto che si è parlato di “nuovo colonialismo” per il fatto che le donne coinvolte di fatto sono persone molto fragili economicamente e culturalmente.
Vede possibile un’alleanza trasversale su questo terreno?
Oggi sul contrasto all’utero in affitto si avverte maggiore consapevolezza, anche nelle varie aggregazioni partitiche. La vera frontiera è sfidare la politica con una seria riforma delle adozioni, rivedendone complessivamente il quadro normativo (procedure, tempi, requisiti) e valutando come aprirla anche alle coppie omosessuali, appunto per sostenere un progetto genitoriale che sta ai servizi sociali valutare e accompagnare. Chissà...