Una veduta di Isernia - Ansa
È Isernia (il capoluogo del Molise) la città “più naturale” d’Italia. La città cioè che fra 112 capoluoghi di provincia è quella che è riuscita a mantenere un ambiente ricco di biodiversità. La speciale classifica è stata elaborata applicando i parametri nella piattaforma digitale innovativa 3Bee che sarà presentata ufficialmente lunedì prossimo 7 ottobre, in occasione della Giornata mondiale dell’Habitat. «Da anni ci occupiamo di biodiversità» spiega Lisa Santillo di 3Bee, la naturtech company che sviluppa tecnologie per il monitoraggio, la tutela e la rigenerazione della biodiversità. «Abbiamo deciso di creare questa nuova piattaforma digitale al servizio delle istituzioni e dei privati per valutare la resilienza climatica delle città ma anche delle imprese» aggiunge l’esperta di biodiversità. Ma che cos’è in particolare la biodiversità di una città? «È la ricchezza e la varietà di vita vegetale e animale, compreso anche tutti i microorganismi presenti nel terreno» spiega Santillo. Analizzando la top ten delle città capoluogo di provincia più naturali d’Italia, troviamo sul podio Isernia, seguita da Belluno e Savona, con un “Msa-Lu” (il parametro di Abbondanza Media di Specie per uso del suolo indiretta, ndr), superiore a 0.9. «Queste città sono situate in regioni che beneficiano di un’ampia copertura vegetale e di un basso livello di antropizzazione», spiegano da 3Bee, elementi che contribuiscono a favorire il mantenimento della biodiversità. Al quarto e al quinto posto ci sono L’Aquila e Ascoli Piceno che beneficiano della vicinanza a vasti parchi naturali, rispettivamente il Parco Nazionale del Gran Sasso e quello dei Monti Sibillini. «I principali fattori impattanti sulla maggiore o minore biodiversità di una città sono l’urbanizzazione e l’espansione – spiega la ricercatrice - ma un altro fattore d’impatto importante è l’agricoltura e le monocolture: l’agricoltura spesso va a distruggere la biodiversità». In fondo alla classifica, infatti, troviamo città come Vercelli, Novara o Foggia. «Spesso non basta mettere a dimora degli alberi per rigenerare la biodiversità – aggiunge – L’obiettivo è quello di creare valore ecologico alle aree verdi e a partire appunto da questa analisi andare ad individuare le piante autoctone in aggiunta a tutta una serie di fattori che possono favorire la biodiversità. Ad esempio, le piante nettarifere (che forniscono cioè nettare alle api) favoriscono il nutrimento e la biodiversità». E le città più grandi? Le grandi città italiane mostrano significative criticità in termini di biodiversità: Milano e posizionata al 98° posto, soffre particolarmente a causa della grande cementificazione e della scarsa copertura vegetale, elementi che riducono drasticamente la resilienza ecologica della città. Roma, al 66° posto, pur vantando numerosi parchi storici, è penalizzata dall’espansione urbana incontrollata e dalla frammentazione degli habitat, che contribuiscono a limitare la connettività ecologica e la capacità della capitale di sostenere una biodiversità ricca. Torino (91° posto), Napoli (92° posto) e Catania (93° posto) affrontano problemi simili: l’urbanizzazione intensa e la cementificazione. La classifica elaborata con la piattaforma e basata su dati scientifici permette a municipalità, imprese e parchi naturali di migliorare il proprio impatto su natura, biodiversità e clima a partire dal monitoraggio dei principali indici di rischio. Anche le imprese si trovano oggi di fronte a una nuova sfida: misurare e rendicontare il proprio impatto su natura, biodiversità e clima secondo standard normativi rigorosi. La Direttiva europea Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive) disciplina infatti l’obbligo per alcune imprese di comunicare le informazioni non finanziarie tramite la redazione di un Bilancio di sostenibilità. I principali standard di rendicontazione internazionali impongono alle aziende, per la prima volta, di adottare un approccio strutturato alla gestione dei rischi legati agli ecosistemi. «Rispetto ad altri Paesi come Gran Bretagna e Germania, in Italia – conclude l’esperta – c’è ancora da sensibilizzare sul tema della biodiversità».