Fotogramma
Filosofo, politologo, tra i maggiori teorici del marxismo operaista, cofondatore e teorico delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia negli Anni '60 e '70, Toni Negri fu processato e condannato per insurrezione armata. «È stato certamente un cattivo maestro, poi però bisogna valutare la sua vicenda in tutta la sua complessità», dice il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Sulle agenzie di stampa rimbalza in mattinata la notizia della morte. A Parigi. All'età di novant'anni. E si accavallano subito le notizie su una vita complessa. Negri, classe 1933, originario di Padova, cresce in una famiglia in cui la politica è il pane quotidiano. Suo padre, uno dei fondatori del Pci, muore nel ’38 mentre il fratello perde la vita nel ‘43 nel corso della Seconda Guerra Mondiale. La madre mantovana, maestra alle scuole elementari, proviene da una famiglia fascista ma è politicamente agnostica a differenza del nonno paterno, un operaio che trasmette al giovane Toni la "lezione" del comunismo.
L'attività filosofica, intellettuale, ma anche politica di Toni Negri continua con Potere operaio, da cui uscirà nel 1973 con il convegno di Rosolina. Lo stesso anno Negri fonderà la rivista Controinformazione, ma soprattutto Autonomia Operaia, di cui sarà leader e principale teorico fino alla sua dissoluzione, nel 1979. Nel 1983 Negri viene eletto deputato con il Partito Radicale con oltre 13mila preferenze, ma nel settembre dello stesso anno si rifugia in Francia perché coinvolto nei processi del "7 aprile" ai militanti di Autonomia Operaia. Oltralpe beneficiò della dottrina Mitterrand sul diritto d'asilo e insegnò in diversi atenei. Negri rientrò in Italia l'1 luglio 1997 per scontare la condanna definitiva di 12 anni. Dal 1999 gli venne concessa la semilibertà, nel 2003 quella totale.
La notizia della morte, annunciata ad alcuni media dalla moglie Judit Revel, è stata confermata all'Ansa da Oreste Scalzone, ex leader di Potere Operaio e punto di riferimento a Parigi dei fuorusciti italiani di quegli anni. Della sua vita resta anche la "fotografia" della figlia Anna, testimone privilegiata degli anni di piombo. Anna Negri ha raccontato la sua storia di figlia del "cattivo maestro" nel libro autobiografico "Con un piede impigliato nella Storia" (Feltrinelli, 2009). Da un lato c'è la figura paterna, assente, contraddittoria, complessa, capace di suscitare alternativamente sarcasmo e invidia nei compagni di scuola. Dall'altro, un percorso di crescita e maturazione che ha come tutori hippy e intellettuali, famiglie bene e rivoluzionari armi in pugno. Sullo sfondo il terrorismo, la politica extraparlamentare, i movimenti.
E poi il padre in carcere, il suo periodo francese, l'irreperibilità, i trasferimenti forzati della famiglia. Anni complessi e una nuova "sentenza": «È stato un cattivo maestro in un'epoca drammatica. Un uomo certamente intelligente che avrebbe potuto mettere al servizio della democrazia il suo antagonismo sociale e che alla fine ha sfruttato le opportunità che gli concessero Marco Pannella e la dottrina Mitterrand. Le responsabilità maggiori di persone come Negri riguardano tanti giovani che si persero nella lotta armata andando ben oltre i recinti della democrazia. Occorre anche sottolineare, senza alcuno spirito oltranzista, che la Francia all'epoca protesse fortemente tanta gente che avrebbe dovuto pagare per i propri crimini. Negri e altri intellettuali diedero un'impronta negativa anche sulla base di teorie che prevedevano l'abbattimento della società attraverso il superamento della meritocrazia. La loro sconfitta più pesante oltre ovviamente alle responsabilità penali di un periodo che vide troppe persone innocenti morire», dice il vicecapogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, Alfredo Antoniozzi.