Un fermo immagine tratto da un video della DIA di Catanzaro - Ansa
AGGIORNAMENTO Venerdì 19 novembre 2021 il gip del Tribunale di Catanzaro, Isabella Valenzi, ha accolto la richiesta di archiviazione che era stata presentata dalla Dda nei confronti dell'ex segretario dell'Udc Lorenzo Cesa.
L'accusa è pesante: associazione a delinquere aggravata dalle modalità mafiose. È contenuta nell’avviso di garanzia consegnato ieri mattina a Roma a Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’Udc, da agenti della Dia venuti da Catanzaro, che hanno perquisito la sua abitazione. In quegli stessi momenti, in Calabria e altrove, 370 agenti eseguivano 48 arresti (13 in carcere e 35 ai domiciliari, insieme a una cinquantina di indagati) e centinaia di perquisizioni, nell’ambito dell’operazione "Basso profilo" della procura distrettuale antimafia di Catanzaro. Sempre nell’Udc, in Calabria è finito ai domiciliari l’assessore regionale al Bilancio Franco Talarico, indagato per lo stessa ipotesi di reato di Cesa e per scambio elettorale politico-mafioso. In mattinata, dichiarandosi estraneo ai fatti contestatigli, Cesa si è dimesso da segretario dell’Unione di centro. A suo carico non ci sono misure cautelari. Secondo la ricostruzione dei magistrati, nel 2017 Cesa, allora eurodeputato dell’Udc, d’intesa con Talarico (in quel momento segretario regionale del partito), avrebbe incontrato due imprenditori, indagati nella stessa inchiesta, ritenuti legati a cosche di ’ndrangheta del Crotonese e del Reggino e interessati ad ottenere appalti nel settore della fornitura di materiali per l’antiinfortunistica e delle pulizie, assicurando l’intercessione con pubblici ufficiali di "gare di appalto per forniture di prodotti antinfortunistici o di pulizie".
«Il pentolone». Le indagini si poggiano su una mole di intercettazioni telefoniche e ambientali (266.500 dialoghi ascoltati e trascritti) e accertamenti bancari e patrimoniali, con 1.800 conti correnti esaminati e 388.000 operazioni bancarie ricostruite, per un giro d’affari di circa 250 milioni di euro, di cui 100 sequestrati. Dalle carte dei pm emerge un presunto «connubio diabolico fra soggetti appartenenti a diverse estrazioni»: imprenditori in odore di ’ndrangheta, funzionari pubblici, uomini politici e perfino un militare della Finanza, ora in congedo, avvicinato con la promessa di un posto per il figlio in una ditta in Albania. Alcuni indagati manifestavano timori sia per le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che per la tenacia di Gratteri, che in un dialogo intercettato viene definito una «persona seria» che sta scoperchiando «il pentolone» anche se in modo, secondo un indagato, «esagerato». Nelle carte, oltre a un notaio e a colletti bianchi del Catanzarese, compaiono diverse ’ndrine egemoni nel Crotonese, Isola Capo Rizzuto e Cutro, come Bonaventura, Arena e Grande Aracri.
Quel pranzo a Roma. Uno dei personaggi chiave è Antonio Gallo, ritengono i magistrati, «un imprenditore molto eclettico, che lavorava su più piani e riusciva a muoversi con grande disinvoltura quando aveva di fronte lo ’ndranghetista doc, o il politico o l’imprenditore». Il suo intento era creare un «monopolio o oligopolio per avere la possibilità di vincere gare truccate per la fornitura di prodotti per la sicurezza sui luoghi di lavoro o attività di pulizia, anche a livello nazionale». Ecco qui, sostiene Gratteri, «l’aggancio con la politica. Questa sua voglia di ingrandirsi porta Gallo ad arrivare fino a Reggio Calabria e a rivolgersi a rappresentanti della famiglia di ’ndrangheta dei De Stefano-Tegano per organizzare la campagna elettorale di Franco Talarico nelle Politiche del 2018, e lo porta a salire a Roma per cercare di ottenere degli appalti di levatura nazionale e attraverso Talarico organizza un incontro con Cesa, un pranzo, datato estate 2017», nel ristorante capitolino "Tullio". Gli investigatori annotano i presenti, ma non possono intercettarli. Ricorda Gratteri: «Non potevamo documentarlo perché all’epoca Cesa era parlamentare, ma sentendo poi Gallo da un’intercettazione ambientale emerge sostanzialmente che quest’ultimo avrebbe dovuto pagare il 5% di provvigione». Cesa dunque, argomenta il magistrato, «è indagato per una frequentazione con l’imprenditore Gallo e con Tommaso e Saverio Brutto», (padre e figlio, rispettivamente ex consigliere comunale di Catanzaro e assessore del Comune di Simeri Crichi, «relativamente a una richiesta di Gallo, che cercava di aggiudicarsi gli appalti».
Le «entrature» di Talarico. L’ordinanza del gip di Catanzaro, Alfredo Ferraro, tratteggia il ruolo di Talarico, che avrebbe offerto ai faccendieri «il suo appoggio, in cambio di un consistente pacchetto di voti». Il politico centrista viene descritto cosi: «Seppure incensurato, ha mostrato una particolare predisposizione a delinquere, acuita anche dai suoi contatti» e dalla «capacità di scendere a patti con soggetti legati alla criminalità organizzata promettendo in cambio le cosiddette entrature», presentando a Cesa i due Brutto, Gallo e Antonino Pirrello, altro indagato, e «manifestando un incondizionato e duraturo appoggio nella prospettiva di nuove consultazioni elettorali».